Rapporto Civita, ai giovani non servono centomila attività. Ecco quel che conta per il loro benessere
Si chiamano zoomers, perché cresciuti in un tempo dove tutto si muove ad alta velocità. Dalla fruizione e produzione culturale allo sport, dal lavoro alla formazione, fino all’impegno politico e alla cittadinanza attiva il XVI Rapporto Civita presentato ieri a Roma va a fondo del legame tra benessere emotivo e diverse aree di impegno per quei giovani che, superata l’adolescenza, si affacciano alla società. Non chiedono «più cose da fare», ma esperienze vere, relazioni significative e adulti credibili. Per questo «investire sul loro benessere significa costruire ecosistemi che mettano al centro la qualità, la fiducia e la co-progettazione».
Il nesso tra consumo e felicità percepita
L’indagine, realizzata in collaborazione con SWG, ha spostato il focus dalla mera rilevazione delle azioni dei giovani all’analisi di come essi vivono le esperienze. Tutti gli intervistati under 30 hanno fruito di qualche proposta culturale nell’ultimo mese, con consumi personali di contenuti audiovisivi (film, musica, serie TV, eccetera) che si posizionano come prevalenti (superando 9 su 10) rispetto alla lettura (6 su 10) e le attività culturali di gruppo (cinema, musei, mostre, concerti, teatro che ottengono indici di fruizione tra il 37% e il 55%). Tuttavia, quasi il 40% dei partecipanti vive tali pratiche con distacco e scarso entusiasmo, il che evidenzia come l’effetto benefico della cultura sul benessere si manifesti solo se essa è emotivamente accattivante, profonda e partecipata. Il nesso diretto tra consumo e felicità percepita (indice OHQ) è riscontrabile, in pratica, solo in relazione ai prodotti audiovisivi. Da ciò deriverebbe una considerazione strategica per gli attori culturali: per amplificare l’impatto emotivo positivo della cultura sui giovani, non è sufficiente offrire un catalogo ricco e vario, ma è indispensabile creare modalità di mediazione alla fruizione che integrino una forte componente di sviluppo delle capacità personali (empowerment).
Il peso della precarietà
La condizione lavorativa si rivela un altro elemento cruciale nell’esistenza dei giovani: chi è occupato attribuisce grande importanza al proprio impiego, ma spesso dichiara un basso livello di soddisfazione, verosimilmente a causa della precarietà, della sensazione di non essere all’altezza o di mansioni poco stimolanti. Pertanto, viene nel Rapporto considerato essenziale un accordo intergenerazionale che conferisca dignità e prospettive al lavoro giovanile. «Dal Rapporto emerge chiaramente come i giovani abbiano bisogno di esperienze concrete, relazioni significative e un dialogo autentico con gli adulti per sentirsi ascoltati, coinvolti e valorizzati», ha spiegato il segretario generale dell’Associazione Civita Simonetta Giordani. «Promuovere il loro benessere emotivo significa accompagnarli nella partecipazione attiva e consapevole alla vita sociale, offrendo loro sostegno, orientamento e spazi dove possano offrire un contributo in tal senso». Anche l’istruzione, pur essendo percepita come valore primario, può innescare stress. L’università, nondimeno, costituisce un’area con un livello di benessere relativamente alto, confermando che l’avere un percorso di studi riconosciuto e coerente contribuisce positivamente all’equilibrio individuale.
Sport e volontariato
Il legame tra i giovani e l’attività sportiva è piuttosto variegato. Lo sport, giudicato di poca rilevanza solo da 2 ragazzi su 10, produce effetti benefici solo se praticato con assiduità e partecipazione emotiva. La sfera della partecipazione attiva alla vita della comunità, dell’impegno politico, del volontariato o dell’associazionismo è appannaggio di una minoranza. Similmente a quanto osservato per le attività artistiche, anche chi si dedica maggiormente all’impegno sociale tende a riportare livelli di benessere leggermente inferiori alla media. Questo aspetto spinge a riflettere sul senso di frustrazione e impotenza che può colpire i giovani sensibili alle problematiche collettive e impegnati nel cambiamento, che possono risentire del peso di un carico emotivo gravoso o di aspettative disattese riguardo all’efficacia delle loro iniziative.
«Vivono in un tempo che corre troppo»
Un filo conduttore emerge in tutti gli ambiti esaminati: il benessere non è definito unicamente dalle azioni svolte, ma da come vengono vissute le esperienze. Una fetta significativa di giovani approccia le attività proposte in modo passivo («non suscitano interesse») o con disagio («un obbligo fatto controvoglia»); sentirsi liberi, motivati e attivamente coinvolti nelle attività si rivela cruciale per la soddisfazione personale. I picchi massimi di gratificazione e stimolo si registrano nei consumi culturali e nella pratica sportiva. Parallelamente, il sostegno interpersonale agisce come elemento determinante: la qualità delle relazioni familiari, la fiducia reciproca, la presenza di figure educative, adulti influenti o mentor in grado di offrire guida e ascolto, sono fondamentali per trasformare le esperienze giovanili in autentiche opportunità di crescita. All’interno di una popolazione giovanile che si dichiara spesso disillusa, sola e frammentata, coloro che beneficiano di legami familiari solidi e di una buona rete sociale registrano punteggi di OHQ significativamente più alti. «I giovani vivono in un tempo che corre troppo, che promette tutto ma non lascia spazio per respirare. Sono cresciuti in una società che li spinge a mostrarsi perfetti, ma raramente li invita ad ascoltarsi. Inseguono ideali imposti, modelli di successo che cancellano il diritto all’imperfezione», segnala lo psichiatra Emanuele Caroppo che ha firmato la prefazione al Rapporto. «Il benessere, per loro, non è un traguardo estetico ma un bisogno profondo di senso. Non serve insegnare a resistere, ma a riconoscersi, a risuonare con ciò che si è davvero».
Fonte: Il Sole 24 Ore