
Ravenna, la città laboratorio della transizione energetica
Guardando il mare dagli ombrelloni di Marina di Ravenna, si scorgono nitide le sagome delle piattafome offhsore più vicine alla costa, c’è qualche nave carica di container di passaggio e quella che Snam ha messo in funzione a maggio come terminale di rigassificazione di Gnl, a 8,5 km dalle spiagge. «Siamo abituati, per questo l’accoglienza del nuovo rigassificatore qui è stata normale, a differenza di altri posti», chiosa il sindaco Alessandro Barattoni. Al largo c’è anche il giacimento esausto di gas di Porto Corsini Mare Ovest, dove da agosto 2024 vengono stoccate le prime tonnellate di CO2 catturate dalla locale centrale a gas di Casalborsetti di Eni nella fase pilota del progetto Ravenna Ccs (carbon capture and storage) della stessa Eni con Snam, il primo e unico in Italia e il più importante del Mediterraneo, per cui quest’anno è stato avviato l’iter autorizzativo della fase industriale.
Capitale dell’offshore
Qui la transizione ha radici storiche. A Ravenna c’è il 62% della produzione gas di Eni in Italia e il 43% di quella nazionale. È del 1952 il primo pozzo onshore, il Ravenna 1. Del 1960 il Ravenna Mare, il primo vero pozzo marino in Europa. Che porta allo sviluppo della città come capitale europea dell’offshore. «C’era anche Aberdeen ma è uscita dall’Ue», racconta il presidente dell’Emilia Romagna Michele De Pascale, ex sindaco della città, eletto nel 2016, l’anno del referendum sulla durata delle concessioni per le trivellazioni. «È stato il momento più difficile», ricorda: «L’Italia fa una scelta strategica, basta produzione nazionale, puntiamo sull’import dalla Russia. Il distretto energetico ravennate inizia il declino, si perdono occupati, le imprese portano le attività all’estero. Noi lavoriamo sul permitting locale: rinnovabili, eolico offshore, cattura della CO2, estrazioni lontane dalla costa. Si aggiunge il rigassificatore».
Il progetto eolico
L’eolico offshore dovrebbe prendere forma in tre parchi al largo della città da 1 GW complessivo, con 125 turbine fisse, non galleggianti come gli altri sviluppi italiani. Li sta promuovendo – in un progetto più ampio che comprende impianti solari galleggianti, sistemi di accumulo e di produzione di idrogeno – Agnes, azienda ravennate di Alberto Bernabini (con Sorgenia azionista di minoranza avendo acquisito la partecipazione che era di F2i sgr). «È un progetto da 2 miliardi che ha già ricevuto valutazione d’impatto ambientale positiva, ora aspettiamo le aste del Fer 2 per partire. Il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto a Rimini recentemente ha detto che è in corso una valutazione sull’equilibrio tra i prezzi del galleggiante rispetto al fisso. Speriamo si sblocchi», sottolinea Bernabini. Proprio la settimana scorsa il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno che chiede a sindaco e giunta di parlare al governo per risolvere la questione. Perché penalizza in modo diretto la città. Qui il pragmatismo è diffuso. Le estrazioni? Sono posti di lavoro. Un polo di ingresso del Gnl estero sopra i giacimenti nazionali? Assurdo. Nel 2003 l’Italia produceva 13,8 miliardi di metri cubi di gas all’anno, nel 2024 il Mase ne ha certificati 2,9.
Rosetti Marino
Ravenna ha dovuto fare i conti anche col Covid: catene di approvvigionamento bloccate, aziende esposte all’estero, ordini e bilanci saltati. La Rosetti Marino ha resistito grazie anche all’oculatezza di una gestione familiare. Oggi nel cantiere al porto, le strutture grandi come palazzi sono per l’oil & gas come per la transizione, e continuano ad andare in tutto il mondo: «Abbiamo iniziato a perseguire le tecnologie green nel 2019», racconta l’ad Oscar Guerra: «Oggi contribuiscono al 50% del fatturato, raddoppiato da quando prendiamo queste commesse. Abbiamo chiuso il 2024 a 580 milioni, un record, e prevediamo ulteriore crescita». Il catalogo recente comprende: una piattaforma per la produzione di idrogeno verde destinata a un parco eolico offshore in Olanda, un modulo per la decarbonizzazione (utilizzo del gas bruciato in fiaccola) di un giacimento offshore in Libia e quattro piattaforme per lo stoccaggio di CO2 per il progetto Liverpool Bay Ccs di Eni.
Tozzi Green
Anche Tozzi Green è un’azienda familiare di Mezzano (Ravenna), con una storia nata dalla produzione di quadri elettrici per l’oil & gas che a un certo punto si divide: due fratelli e due strade, la prima punta sulle rinnovabili e oggi vuole costruire 500 MW in Italia al 2030, la seconda continua con le fonti fossili, e finisce nel 2021. Nella frazione di Sant’Alberto, Tozzi Green ha costruito quello che Legambiente ha premiato ad agosto come uno degli impianti ambasciatori dell’agrivoltaico italiano: «Nel 2010 lo chiamammo “pratopascolo biosolare”, pensato come soluzione al consumo di suolo», ricorda l’ad Andrea Tozzi: «35 GW su 70 ettari, con 600 pecore che alimentano la produzione di un caseificio. Oggi l’agrivoltaico è ampiamente riconosciuto. Puntiamo a farne un altro a Ravenna, a Campiano, da 70 MW».
Fonte: Il Sole 24 Ore