Regionali in Toscana, leader del centrodestra a Firenze. Meloni: risultato non scritto

Regionali in Toscana, leader del centrodestra a Firenze. Meloni: risultato non scritto

Nella Toscana “rossa” da mezzo secolo, dove domani e lunedì il candidato di Fdi Alessandro Tomasi tenterà la sfida improba di superare il governatore dem uscente Eugenio Giani, i leader del centrodestra si danno appuntamento, accolti da un corteo di protesta, per picchiare durissimo contro la sinistra. Quella che «fa gli accordi di palazzo, ma non ha il coraggio di farsi vedere insieme». Quella che «è più fondamentalista di Hamas», «sempre più radicalizzata, non un campo largo ma un Leonacavallo largo, un enorme centro sociale». Quella che «ha strumentalizzato per anni temi come lavoro, salari e diritti delle donne, ma i primi risultati li abbiamo ottenuti noi». È il più urlato da Giorgia Meloni, il comizio di ieri sera in piazza San Lorenzo a Firenze.

Le ultime arringhe

E non un comizio qualsiasi: è il primo dopo l’accordo su Gaza, al termine di una giornata di contatti diplomatici frenetici in vista del viaggio lunedì in Egitto, per assistere alla firma dell’intesa e partecipare al summit sul piano di pace in cui la premier punta a incassare dal presidente degli Stati Uniti un ruolo di primo piano. Lo omaggia anche dal palco, distribuendo dardi: «Hamas e Israele non firmano né per gli scioperi di Landini, né per Albanese che sta lì a insultare la senatrice Segre, né per Greta Thunberg sulla Flotilla. C’è una persona che bisogna ringraziare: è Donald Trump, un presidente repubblicano». Meloni rivendica di aver sempre supportato il piano del tycoon. Come tutti, «tranne la sinistra che in Parlamento non è riuscita a sostenere la mozione».

Lo sguardo anche alla manovra

Questo è il registro. Lo usa Matteo Salvini, che parla di «panico a sinistra», intima a Francesca Albanese di «non rompere i c…», difende Netanyahu («La pace si deve anche a lui») ed elogia Oriana Fallaci. Vi ricorre, con toni più soft, Antonio Tajani, che rilancia pure la promessa di «meno tasse» e la volontà di battersi per portare fino a 60mila euro i redditi che beneficeranno del taglio Irpef al 33 per cento. I leader ne discuteranno di nuovo martedì, prima del Consiglio dei ministri che licenzierà la manovra.

In terra toscana la premier sa di poter giocare solo in recupero, misurando la presa della sua popolarità su un territorio che sembra resistere all’onda nera. Per gli altri esponenti della coalizione le partite sono diverse: il numero uno azzurro e il presidente di Noi Moderati, Maurizio Lupi, continueranno a pesare “la voglia di centro”, il segretario leghista potrà toccare con mano le conseguenze della “vannaccizzazione” del partito.

L’azione di governo

Meloni mette comunque le mani avanti: «Dall’ottobre 2022 abbiamo votato in Italia 16 volte: tolte le elezioni europee, il centrodestra ha vinto 12 volte, la sinistra tre». Come a dire: le sono rimaste le roccaforti, «i sistemi di potere chiusi» e autoreferenziali. L’esempio? Mps, «una banca storica ancorata al territorio, che altri, dopo averla affossata, volevano svendere. Noi l’abbiamo difesa. Con la sinistra drenava enormi risorse, con noi è tornata a essere solida, in buona salute. Fa utili e avvia operazioni ambiziose». L’invito della premier alla piazza è, manco a dirlo, rovesciare il tavolo, «fare la storia», perché «nulla è già scritto». E pazienza se non sarà così. Conta il mantra, con vista alle politiche del 2027: l’elogio del centrodestra unito e del Governo stabile grazie a cui «in tre anni abbiamo chiuso accordi per 80 miliardi di investimenti stranieri» e l’Italia «è tornata l’Italia»

Fonte: Il Sole 24 Ore