Regolamento Ecodesign, le sfide del settore dalla progettazione eco al passaporto digitale

Lo scorso dicembre ha superato la cosiddetta fase dei «trilogue» – e cioè il dialogo tra le tre principali istituzioni europee: Commissione, Consiglio e Parlamento – una delle norme che, nell’ambito del Green Deal e della strategia tessile europea improntata alla riduzione dell’impatto ambientale, dovrebbero avere un impatto più marcato sul settore tessile-moda. Il regolamento Ecodesign (Espr), approvato dal Parlamento europeo nel luglio 2023, punta a rivoluzionare in modo radicale l’approccio alla produzione (anche) dei prodotti tessili, dei capi di abbigliamento e degli accessori. Imponendo alle imprese della filiera made in Italy una serie di modifiche rilevanti nella loro attività: dalla progettazione dei capi al fine vita.

Il regolamento tra obiettivi e tempistiche

La norma – che dovrà essere rivotata dal Parlamento in una delle cinque Plenarie che rimangono prima della conclusione della legislatura e poi approvata in Consiglio – è stata proposta dalla Commissione nel marzo 2022 per sostituire la Direttiva sull’ecodesign attualmente in vigore (2009/125/CE), ma essendo un regolamento europeo dovrà essere applicata dai 27 membri dell’Unione così com’é, pena l’apertura di una procedura di infrazione, e quindi senza una declinazione nazionale della norma come avviene per le direttive. Il testo su cui le tre istituzioni hanno trovato un accordo a inizio dicembre (che è comunque ancora provvisorio) ha un’orizzonte di medio termine (al 2030) e ha l’obiettivo di rendere i prodotti più durevoli (e quindi non solo realizzati con materiali più resistenti, ma anche facili da riutilizzare, aggiornare, riparare e riciclare), di tracciare la filiera il più possibile e impedire lo smaltimento incontrollato delle produzioni. «È ora di porre fine al modello del “prendere, produrre, smaltire” che è così dannoso per il nostro pianeta, la nostra salute e la nostra economia – aveva detto la relatrice del provvedimento, l’europarlamentare italiana Alessandra Moretti -. I prodotti sostenibili diventeranno la norma, consentendo ai consumatori di risparmiare energia, riparare e fare scelte ambientali intelligenti quando fanno la spesa. Vietare la distruzione di prodotti tessili e calzature invenduti contribuirà anche a un cambiamento nel modo in cui i produttori di fast fashion producono i loro beni».

I pilastri: durata dei prodotti, fine vita, passaporto digitale

Nel dettaglio, tra i pilastri dell’Espr ci sono la dotazione di un passaporto digitale che identifichi il prodotto, ne tracci i componenti e anche la filiera, permetta al cliente finale di reperire informazioni utili per il mantenimento del prodotto in questione (come, per esempio, le tecniche di lavaggio) e per l’eventuale riparazione. Si tratta di uno strumento che le aziende hanno iniziato a implementare già prima che diventi legge (in questo articolo abbiamo raccontato diversi casi: dai grandi brand del lusso come Tod’s alle start up dall’anima sostenibile come Endelea). «Il provvedimento non nasce dal nulla, ma è nato anche dal confronto con gli stakeholder – spiega Ilaria Curti, partner dello studio legale Portolano Cavallo -. Sul passaporto digitale in generale le imprese si sono trovate d’accordo, mentre hanno ritenuto che le maggiori difficoltà siano quelle legate alla progettazione ecocompatibile del prodotto e alla gestione di tutto il ciclo di vita con un’attenzione alla circolarità». Di base, infatti, capi e accessori (così come frigoriferi e televisioni: l’Espr si applica a tutti i prodotti) dovranno essere realizzati con materiali durevoli e in modo che, una volta giunti al fine vita, possano essere riciclati o riutilizzati. «Prodotti così diversi tra loro – continua Curti – non possono avere i medesimi standard: ci saranno delle sub regolamentazioni che andranno a targettizzare i singoli settori per declinare la norma in modo più specifico». Per ora, dunque, le aziende non stanno vivendo appieno il cambiamento che verrà imposto da Bruxelles: «Al momento stanno vivendo l’impatto della sostenibilità su altri fronti, per esempio quello della misurazione e della comunicazione, conclude Curti citando i pilastri di due direttive, quella sulla corporate sustainability che entrerà in vigore nel 2024 e la proposta direttiva Green Claims.

Le sfide imposte alla moda italiana

Proprio su queste regolamentazioni ad hoc punta anche la Camera della moda italiana che aveva espresso una serie di dubbi sull’applicabilità dell’Espr alla moda italiana creativa e di fascia alta tanto da portare a Bruxelles le proprie istanze insieme agli altri membri dell’European Fashion Alliance. «Ci sono ancora delle cose da mettere a posto, su cui ancora stiamo ragionando – ha detto Carlo Capasa, presidente di Cnmi, a margine dell’incontro di presentazione della fashionweek maschile in corso a Milano in questi giorni – e mi riferisco per esempio al concetto di rimanenze o alla durabilità del capo: per noi non è solo un fatto di resistenza allo stress del capo, ma anche di durabilità emotiva e stiamo facendo uno studio specifico per far capire, per esempio, che un capo di pizzo può rimanere in un armadio per anni, tramandato di generazione in generazione».

Le criticità sul lungo periodo

Per l’emanazione di questi provvedimenti, tuttavia, bisognerà attendere qualche anno: «Gli atti delegati, declinati per tipologia di settore, arriveranno tra il 2027 e il 2030 – spiega l’avv. Villari di Dla Piper, alla guida della neocostituita practice EHS (Environmental / Health&Safety) – e avranno un impatto su più fronti: per esempio, il tema del fine vita del prodotto cambierà da settore a settore. Le imprese, per questo tipo di provvedimento che di fatto trasforma il modello di business da lineare a circolare, probabilmente avranno bisogno di più tempo per adattarsi». Le sfide imposte dall’adeguamento alla normativa sono molte: «Dal punto di vista della regolamentazione la Commissione ha introdotto per la prima volta il divieto di distruzione di prodotti tessili e calzature invenduti. Per dare alle imprese il tempo necessario ad adeguarsi alle nuove disposizioni, tale divieto entrerà in vigore due anni dopo l’approvazione del regolamento. Nel frattempo, la Commissione potrà emanare ulteriori atti delegati con cui individuare le esenzioni rispetto al divieto, come la distruzione per motivi di salute e sicurezza, ed estendere alcuni obblighi di disclosure e trasparenza anche in capo alle piccole e microimprese (che ne sarebbero esentate), sul numero di prodotti distrutti e i motivi», dice Villari. A queste, si uniscono poi quelle legate alla competitività da mantenere: «Il fatto che alle aziende venga imposto di creare prodotti durevoli e riparabili, impone un tema di prezzo che molto probabilmente sarà più alto rispetto al passato».

Fonte: Il Sole 24 Ore