Ricettazione di bicicletta: fa prova la chiave di riserva del derubato
Sono sempre più frequenti i casi di cronaca di ladri di biciclette…elettriche. E in caso di furto di questi veicoli sempre più preziosi e diffusi, il reato di ricettazione può essere confermato se emergono elementi che dimostrano la consapevolezza dell’imputato sulla provenienza illecita del bene. Ad esempio, il possesso di oggetti specifici legati al veicolo, come la chiave di riserva della batteria da parte del derubato, può costituire un elemento dirimente. Inoltre, il rinvenimento del bene nella disponibilità diretta dell’imputato, senza plausibili giustificazioni, rafforza l’affermazione di responsabilità. La valutazione di tali elementi, ritenuti sufficienti per confermare la condanna, è spesso accompagnata da un’analisi delle circostanze e dei precedenti penali dell’imputato, che possono influire sulla gravità del reato contestato.
La decisione e la tesi dell’incerto riconoscimento
La Seconda Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con sentenza 36038 del 2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato dalla Corte d’Appello per la ricettazione di una bicicletta elettrica. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione di legge e vizi di motivazione, sostenendo la tesi dell’incerto riconoscimento della bicicletta e la mancanza di prove sul possesso da parte dell’imputato. Inoltre, ha richiesto l’applicazione dell’ipotesi lieve di ricettazione. La Corte ha ritenuto decisivo il possesso della chiave di riserva della batteria da parte della vittima del furto, confutando la tesi difensiva secondo cui le chiavi sarebbero tutte uguali. Inoltre, ha considerato ragionevole e sufficiente il collegamento tra il rinvenimento della bicicletta nella stanza dell’imputato e la sua responsabilità, perchè immediato e perchè non esiste alcuna plausibile giustificazione che possa escludere tale responsabilità. Il ricorso è stato quindi giudicato generico e infondato, riproducendo argomentazioni già presentate in appello senza una critica specifica alla sentenza. La Corte ha quindi confermato la responsabilità penale dell’imputato e ha ritenuto non applicabile l’attenuante richiesta a causa dei numerosi precedenti penali dell’imputato. E alla fine il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’articolo 616 del Codice di procedura penale, al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, in considerazione dei profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità del ricorso.
Fonte: Il Sole 24 Ore