
Rinuncia alla proprietà per tutti gli immobili, ma restano le ipoteche
Ipoteche e posizioni debitorie
Nonostante lo Stato acquisti a titolo originario l’immobile rinunciato, l’atto di rinuncia non comporta l’estinzione di ipoteche o di diritti reali di godimento (come un usufrutto o una servitù) istituiti prima dell’atto stesso. Se il proprietario è già gravato da debiti (ad esempio, per risarcimento dei danni provocati dall’immobile o per aver inquinato il terreno), l’atto di rinuncia di certo non ne comporta l’estinzione e quindi il proprietario, rinunciando alla proprietà, non se ne libera. Anzi, un creditore ben potrebbe addirittura agire in revocatoria contro l’atto di rinuncia.
Trascrizione e voltura
L’atto di rinuncia si trascrive “contro” il soggetto rinunciante (può essere sia una persona fisica che una persona giuridica). Non è necessario, ma è utile, trascriverlo “a favore” del Demanio dello Stato con codice fiscale 97905320582, come da circolare dell’agenzia del Demanio 3616 del 12 ottobre 2016. La trascrizione “a favore”, infatti, rende possibile la voltura catastale automatica, con la conseguenza che il proprietario rinunciante vedrà finalmente la ditta catastale dell’immobile rinunciato non più intestata a sé.
Potrebbe darsi, tuttavia, che il Catasto (in queste prime settimane successive alla sentenza 23093) faccia resistenza a intestare i beni rinunciati al Demanio: a parte il fatto che questa resistenza è destinata a cessare – in quanto assurda e illegittima – l’importante, per il proprietario, è aver firmato l’atto di rinuncia e averlo trascritto. L’intestazione catastale è completamente irrilevante.
Rinuncia alla comproprietà
La sentenza 23093 non ne parla, ma di fatto sdogana anche gli atti di rinuncia al diritto di comproprietà. In questo caso, non si ha un acquisto da parte dello Stato, in quanto l’effetto della rinuncia è quello di provocare un automatico accrescimento delle quote dei comproprietari residui. Ad esempio, se la proprietà di un edificio spetta a quattro persone, in quote eguali fra loro, la rinuncia di uno di essi comporta che gli altri tre divengono comproprietari in ragione di un terzo per ciascuno.
A fronte della sentenza delle Sezioni unite, non c’è più il timore che costoro possano pretendere un risarcimento asserendo il patimento di un danno provocato dall’altrui rinuncia. In primo luogo, in quanto il rinunciante sta esercitando un suo diritto: per definizione, l’esercizio di un diritto (anche se può provocare fastidio al prossimo) non provoca un danno “ingiusto” (articolo 2043 del Codice civile) e, come tale, non provoca un danno risarcibile. In secondo luogo, perché il comproprietario “accresciuto”, se la situazione non gli aggrada, può anch’egli, a sua volta, rinunciare al suo diritto di comproprietà. E se da una situazione di tanti comproprietari ne rimane alla fine uno solo, quest’ultimo può anch’egli, del tutto legittimamente, rinunciare al diritto di cui, a suon di rinunce, è divenuto esclusivo titolare, provocandone così l’acquisizione da parte dello Stato.
Fonte: Il Sole 24 Ore