Risarcito e reintegrato per il licenziamento discriminatorio il malato di tumore

Deve essere reintegrato e risarcito, per il licenziamento discriminatorio subìto, il lavoratore malato di tumore estromesso dall’azienda per aver superato il periodo di comporto. La Cassazione ricorda che il datore di lavoro, che è a conoscenza della patologia del suo dipendente, non può conteggiare tutte le assenze in maniera indifferenziata come malattia ai fini del comporto, ma deve attivarsi per approfondirne le ragioni e capire se siano collegate o meno alla patologia oncologica. Fatto questo non può usare i normali parametri di “tolleranza” , ma deve, in nome del principio di parità delle persone con disabilità, adottare ogni ragionevole accomodamento organizzativo. Un giusto compromesso dunque che contemperi i diversi interessi in gioco. La via è una soluzione che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia utile a bilanciare nel rispetto dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l’interesse del dipendente malato a mantenere un lavoro compatibile con la sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa.

La gravità della patologia

La Suprema corte, respinge così il ricorso della società che aveva licenziato un operaio assente per 458 giorni a causa di una grave forma di neoplasia. Un licenziamento che la Corte d’Appello, con una decisione che la Cassazione condivide, aveva considerato discriminatorio. Accertata la nullità, la società datrice era stata condannata alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore, di un’indennità risarcitoria tarata sull’ultima retribuzione globale di fatto, dal licenziamento alla reintegrazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo. Una sentenza sulla quale ha inciso la previsione – da parte del datore – di un arco temporale unico e indifferenziato anche per i periodi di malattia imputabili alla sua disabilità <né potendo tale situazione essere bilanciata da un ulteriore periodo di aspettativa (non retribuita), indistintamente applicabile a lavoratori normodotati e disabili>. La Suprema corte ha inoltre condiviso l’accertamento della gravità e cronicità della patologia oncologica del lavoratore, tale da comprometterne la capacità lavorativa fino 75%, e da imporre interventi e cure chemioterapiche.

Fonte: Il Sole 24 Ore