Ritorno estatico al Teatro delle Orge e dei Misteri, ultima festa di Nitsch

Ritorno estatico al Teatro delle Orge e dei Misteri, ultima festa di Nitsch

Le azioni all’interno dell’OMT, dirette dal figlio adottivo di Nitsch, Leonhard Kopp, hanno luogo scandite dall’alternanza con i momenti conviviali: i partecipanti godono di immense quantità di cibo, servito in modalità buffet, dai sapori tradizionalmente austriaci. Si respira l’atmosfera degli Heuriger, le tipiche taverne dove tanto vino e specialità della gastronomia locale vengono consumati sulle colline austriache. Anche questi momenti sono parte della creazione di Nitsch. Si festeggia un’arte che coincide con la vita – niente di più, niente di meno. Sorge così, per il tempo della festa, una piccola comunità: molti partecipanti e attori, “nitschiani” della prima ora, già si conoscono, nuove intese nascono rapidamente fra gli altri. Le ansie quotidiane sono lasciate altrove, ci si apre incondizionatamente agli altri, senza timore di raccontarsi. Qui conta solo l’istante – nessuno lo vuole lasciare andare. È l’ossessione di Faust, la sua sete dell’attimo eterno. Ma Nitsch ritiene di aver trovato la chiave per accedervi. Questa chiave ha un nome: mistica dell’essere. Ossia, l’insieme di tecniche esistenziali per riconoscere nel proprio sé null’altro che l’essere eterno, il tutto, il cosmo. Sembra risuonare il motto vedantico “Tat tvam asi” – “tu sei questo” – che tanto ha influenzato, fra gli altri, Ernst Jünger.

Qui, nel castello di Prinzerdorf, molti conoscono la filosofia di Nitsch e la prendono sul serio. Per altri, in tutta evidenza, si tratta di far festa, di prender parte a un evento unico, bizzarro, “alternativo”. Ma in fondo, anche costoro confermano l’intuizione dell’artista. La vita, questa esplosione di forme e colori, va assunta come intensificazione dell’eccesso originario. Il resto non è che un ricamo intellettualistico – necessario, in sede preparatoria, ad avvicinarci a questo mistero, ma destinato ad essere continuamente oltrepassato dalla consistenza dell’esistere, dalla sua virulenta cogenza.

La prima giornata – la quarta del “6-Tage-Spiel” – scorre sotto un sole accecante. Il caldo torrido amplifica le sensazioni. Gli attori, dopo la lavanda dei piedi, cominciano le “azioni”: i materiali organici – interiora, pesci, uova, uva, pomodori – disposti su alcuni tavoli vengono dilaniati, il sangue animale scorre, avvengono le prime crocifissioni degli attori bendati, processioni nel castello e poi fuori, nelle vigne, a lambire, sulle colline, il cielo. Si beve, balla, sperimenta. La vita è esposta ritualmente nella sua crudezza, nel suo intrinseco rapporto con la morte, sino alla cena, seguita da danze improvvisate. Una banda propone musica popolare festiva – il tono epico della giornata declina nella serenità di una festa di campagna.

Ma la stoffa epica dell’evento riemerge la mattina successiva, sotto il diluvio.

L’azione si sposta nel sottosuolo, nelle cantine del castello. Nekuia, kathabasis, nigredo, notte oscura dell’anima: il mito e la mistica hanno drammatizzato con questi termini lo scavo interiore del negativo, la discesa agli inferi del nostro sé. Ci si confronta, al buio, coi propri abissi, illuminati dalle torce rette dagli attori-eroi. Queste paiono spade lucenti nella notte più buia. La liturgia si svolge come di consueto: tre corpi crocifissi si sacrificano per la rinascita della vita – un inno panico – incarnata dall’attore bendato e crocifisso che, sporco di sangue, viene condotto a rivedere la luce, fuori da questa simbolica caverna, dagli echi platonici.

Fonte: Il Sole 24 Ore