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Screening neonatale: una goccia di sangue può cambiare una vita ma serve uno standard
Una goccia di sangue, raccolta nelle prime 72 ore di vita, può fare la differenza tra una diagnosi precoce e un destino segnato. Lo screening neonatale esteso (Sne), reso obbligatorio in Italia grazie alla Legge 167/2016, rappresenta una delle conquiste più importanti della sanità pubblica nazionale. Permette di individuare tempestivamente oltre 50 malattie rare, molte delle quali potenzialmente devastanti, ma trattabili con interventi tempestivi e mirati. Diagnosi precoce significa cure più efficaci, minori complicanze, qualità della vita migliore e, non da ultimo, risparmi importanti per il Servizio sanitario nazionale.
Perché l’accreditamento
Il principio alla base dello screening è semplice: identificare in anticipo, attraverso un test non invasivo, patologie gravi che, se non intercettate subito, rischiano di compromettere gravemente lo sviluppo e la salute del neonato. Oggi sono inclusi nello screening obbligatorio circa 50 disturbi, ma la lista si sta allungando: pannelli più recenti prevedono l’inclusione di condizioni come l’atrofia muscolare spinale (Sma) e le immunodeficienze congenite severe (Scid).
Ma non basta avere buone intenzioni o tecnologie all’avanguardia. Perché lo screening sia davvero efficace ed equo in tutto il Paese, è necessario che tutti i laboratori coinvolti operino secondo criteri condivisi, con procedure uniformi e risultati confrontabili. È qui che entra in gioco un elemento cruciale: l’accreditamento secondo la norma UNI EN ISO 15189:2024.
Uno standard condiviso per qualità e sicurezza
Questa norma internazionale non è un mero adempimento formale: rappresenta un vero e proprio strumento operativo per garantire che gli screening siano condotti con rigore, coerenza e trasparenza. Aderire alla UNI EN ISO 15189 significa dotarsi di procedure validate, tracciare ogni fase del processo diagnostico, garantire la qualità analitica dei dati e offrire risultati affidabili, con livelli di incertezza misurabili e documentati.
La norma prevede criteri stringenti per valutare l’adeguatezza complessiva dei laboratori medici, lungo l’intero ciclo delle attività. Dalla responsabilità del personale alla qualità degli spazi e delle attrezzature, fino alla gestione dei campioni e dei materiali, ogni fase – dalla raccolta alla comunicazione dei risultati – deve rispondere a requisiti precisi e misurabili. L’obiettivo è garantire controlli standardizzati, affidabili e costantemente migliorabili.
Fonte: Il Sole 24 Ore