
Scuola Diaz, no alla revisione della condanna per falso dell’ex direttore dello Sco
Respinta dalla Cassazione la richiesta di revisione del processo presentata dalla difesa di Francesco Gratteri, l’ex super poliziotto – che aveva partecipato allacattura, tra gli altri, di boss mafiosi come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca – condannato in via definitiva nel 2012 a quattro anni per falso aggravato per i fatti della scuola Diaz durante il G8 a Genova nel 2001, quando era direttore del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia.
Per la Suprema corte le nuove prove portate dalla difesa di Gratteri, non sono sufficienti a scalfire accertamenti da considerare ormai definitivi, fatti dalla Corte d’Appello. Ad avviso della Corte di merito Gratteri «partecipando, nella qualità di dirigente superiore e direttore dello Sco, all’organizzazione e all’esecuzione di una perquisizione ad iniziativa autonoma della polizia giudiziaria dell’edificio scolastico Diaz – Pertini, sito in Genova, con l’impiego di oltre duecento operatori, aveva attestato fatti o circostanze non corrispondenti al vero, in concorso, tra gli altri, con i materiali redattori e sottoscrittori degli atti trasmessi all’autorità giudiziaria in relazione all’arresto di Albrecht Thomas e di altre novantadue persone, e ciò al fine di costruire un compendio probatorio a carico degli arrestati in flagranza nonché per giustificare la violenza usata nei confronti dei medesimi in occasione dell’irruzione all’interno dell’istituto e la causazione di lesioni personali agli arrestati e quindi per assicurare l’impunità dei reati commessi dai pubblici ufficiali che avevano posto in essere tali ultime condotte».
La presenza prima e dopo l’operazione
Gratteri era dunque presente sia al momento dell’irruzione all’interno della scuola sia durante le successive operazioni di raccolta degli oggetti e dei materiali presi per essere sequestrati. C’era, infine, «durante la collocazione, sempre all’interno dei locali del medesimo istituto, del reperto costituito da due bottiglie incendiarie molotov – pienamente consapevole di quanto accaduto nella realtà, aveva determinato ed indotto gli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria impegnati nelle operazioni, alcuni dei quali suoi diretti sottoposti, ad attestare falsamente – si legge nella sentenza – di aver incontrato violenta resistenza da parte degli occupanti, consistita in un fittissimo lancio di pietre ed oggetti contundenti dalle finestre; di aver incontrato resistenza, opposta anche all’interno dell’istituto, da parte degli occupanti che ingaggiavano violente colluttazioni con gli agenti di polizia armati di coltelli ed armi improprie; che quanto rinvenuto all’interno dell’istituto, tra cui mazze, bastoni spranghe, era stato utilizzato come arma impropria dagli stessi occupanti per commettere gli atti di resistenza; il rinvenimento di due bottiglie incendiarie con innesco al piano terra dell’istituto perquisito vicino all’ingresso, in luogo visibile e accessibile a tutti, in modo da attribuirne la disponibilità e il possesso indistintamente a tutti gli occupanti l’edificio».
Nessun travisamento delle prove
Per la Cassazione da parte della Corte territoriale non c’è stato alcun travisamento della prova. Il collegio di secondo grado è giunto correttamente all’affermazione della responsabilità dell’ex direttore, non sulla base di un perentorio «non poteva non sapere», riferito alla responsabilità per la sua posizione di comando, ma sulla base di specifici e concreti elementi a suo carico, tra cui le dichiarazioni convergenti, compresa quella dell’ex prefetto Andreassi sulla presenza attiva e centrale di Francesco Gratteri non solo nel corso di tutta l’operazione, ma anche durante la redazione degli atti e nel controllo del contenuto.
Resta, quindi, valido il giudizio di colpevolezza del ricorrente «in ragione del suo arrivo sul posto quando l’operazione era in pieno svolgimento e della posizione di comando assunta di fatto prima durante e dopo l’irruzione aveva personalmente constatato “cosa stava realmente accadendo”, rendendosi perfettamente conto che si era verificata quella che alcuni suoi colleghi avevano definito nel dibattimento una vera e propria “macelleria messicana”».
Fonte: Il Sole 24 Ore