Se le rovine sono il punto di partenza per nuove narrazioni

Se le rovine sono il punto di partenza per nuove narrazioni

Adagiato da quasi 500 anni nella pianura di Alessandria, il grandioso Complesso Monumentale di Santa Croce, a Bosco Marengo, fu voluto nel 1566 da papa Pio V Ghislieri (Bosco Marengo, 1504-Roma, 1572), prima temutissimo Inquisitore e ispiratore della Controriforma poi papa pugnace (non si peritò di scomunicare Elisabetta I d’Inghilterra, facendo lui ovviamente il tifo per la cattolicissima cugina Maria Stuarda) e decisamente bellicoso: fu lui, infatti, a istituire la Lega Santa, che nel 1571 sconfisse a Lepanto la flotta dell’Impero ottomano. Ma fu anche un mecenate e solo il tempo avrebbe sconfitto questa sua grande creazione, fondata per farne un centro propulsore di fede e di cultura, che nei secoli sarebbe diventata una residenza per i veterani delle campagne napoleoniche, poi un deposito militare e, per quasi tutto il ‘900, un riformatorio. Salvato dall’abbandono dall’Associazione Amici di Santa Croce, che ha aperto il sito, il complesso vede ora aggiungersi il progetto delle curatrici Tatiana Palenzona e Amina Berdin e dell’imprenditore Michelangelo Buzzi che, con il supporto di Intesa Sanpaolo, hanno creato l’associazione culturale no-profit MARES, in continuità con il fondatore, che fu committente di figure come Giorgio Vasari.

Il debutto di MARES – che candida il Complesso a un ruolo di polo del contemporaneo – è affidato alla prima edizione di RUINS, progetto triennale di produzione artistica e culturale che, dopo aver invitato a una residenza gli artisti Jade Blackstock, Giovanni Chiamenti, Luca Pagin e Teresa Prati e il duo curatoriale Lemonot, dal 20 settembre presenta la prima esposizione del ciclo, diffusa negli spazi restaurati degli Amici di Santa Croce e curata da Tatiana Palenzona e Amina Berdin con la collaborazione di Lemonot.

In mostra, i lavori scaturiti dal confronto degli artisti con questi luoghi e con la loro storia antica e recente e dal dialogo intrattenuto con le curatrici.

Fra i quattro protagonisti, Jade Blackstock ha scelto una centrale nucleare avviata nel 1973 e ora dismessa, il cui sito è diventato una ferita nel contesto paesaggistico e sociale del territorio. Perché, spiega, «le rovine industriali moderne continuano a esercitare la loro influenza anche quando fisicamente rimosse, nascoste o “rinaturalizzate”». Giovanni Chiamenti ha puntato invece sulla natura geologica del suolo di quest’area in cui anticamente, come in tutta la Pianura padana, c’era il mare e, intrecciando arte, geologia, biologia, bio-tecnologie e chimica, ha generato un mondo allucinato di esseri ibridi e mutanti, che ha chiamato Genomic Chimeras, in cui fossili marini trovati in alcune rocce locali s’intersecano con i (futuri) fossili che deriveranno dall’inquinamento delle plastiche: immagini non vere ma, purtroppo, più che verosimili, realizzate per stimolare la consapevolezza dei danni da noi inflitti alla natura.

Fonte: Il Sole 24 Ore