Secondo giorno di combattimenti tra Thailandia e Cambogia, 15 morti e 58mila sfollati
Benché le relazioni siano rimaste stabili dopo una grave crisi che nel 2011 fece decine di vittime, Thailandia e Cambogia condividono una lunga storia di frizioni sul confine. La fiammata di questi giorni è il risultato di tensioni andate crescendo a partire dal mese di maggio e incentrate sul tempio di Preah Vihear, un’area contesa da lungo tempo il cui status incerto risale all’epoca coloniale francese.
Sul fronte diplomatico il primo Paese a muoversi è stata la Cina, una presenza sempre più forte nel Sud Est Asiatico, mentre si è dovuto attendere molto di più per una generica presa di posizione da parte degli Stati Uniti, che hanno nella Thailandia uno dei propri alleati storici nella regione.
Per il momento però la diplomazia non sembra avere grandi margini di manovra: Bangkok ha rifiutato le offerte di mediazione, spiegando di essere pronta ad aprire un tavolo con Phnom Penh, ma sottolineando che la questione va risolta bilateralmente.
Difficile immaginare quanto possano ancora proseguire gli scontri. Negli ultimi mesi, entrambi i Paesi sono stati messi in un angolo dagli Stati Uniti con pesanti tariffe destinate a ridurre le loro esportazioni verso il mercato americano. La Thailandia sta trattando con Washington per abbassare i dazi del 36% decisi da Donald Trump. La Cambogia, che ha sicuramente una minore leva politica, dal primo agosto potrebbe fare i conti anch’essa con tariffe del 36 per cento. Meglio dello stratosferico 49% annunciato ad aprile, ma quanto basta per mettere in ginocchio la sua industria tessile che dipende in larga misura dal mercato Usa.
Con queste premesse, l’autosabotaggio della stagione turistica, da una parte e dall’altra, non sembra una strada percorribile.
Fonte: Il Sole 24 Ore