Sempre più canadesi boicottano i prodotti Usa in risposta ai dazi di Trump

Sempre più canadesi boicottano i prodotti Usa in risposta ai dazi di Trump

All’inizio sembrava una protesta per pochi, adesso rischia di diventare un caso economico e politico internazionale. Il boicottaggio canadese contro i prodotti statunitensi è ormai una certezza. Da mesi ormai, un numero crescente di cittadini in Canada sta provando a non acquistare prodotti provenienti dagli Stati Uniti, in risposta diretta ai dazi imposti dall’amministrazione Trump su acciaio, alluminio e altre importazioni. E adesso ci sono i dati a confermarlo. Perché un sondaggio della Bank of Canada – pubblicato questa settimana da Bloomberg – ha certificato che circa il 63% dei canadesi ha dichiarato di aver ridotto gli acquisti di prodotti americani, mentre oltre la metà ha ammesso di evitare viaggi negli Stati Uniti.

Parallelamente, è aumentata la preferenza per beni e destinazioni domestiche, anche se a un prezzo più alto: molti intervistati hanno detto di essere disposti a pagare anche fino al 10% in più, pur di comprare canadese.

Tra le manifestazioni più evidenti della reazione canadese ai dazi di Trump, c’è la scomparsa degli alcolici americani dagli scaffali dei negozi di diverse province. Va ricordato, infatti, che già da marzo molte amministrazioni locali hanno deciso di rimuovere bourbon, whiskey e altri distillati statunitensi come forma di protesta istituzionale. E l’impatto è stato immediato.

Secondo un’analisi di Spirits Canada, le vendite di alcolici americani sono crollate del 66,3% tra il 5 marzo e la fine di aprile. In Ontario, il mercato più grande del Paese, la contrazione ha raggiunto l’80%. Ma il boicottaggio non si è limitato ai soli prodotti statunitensi. L’intero comparto ha subito un contraccolpo: nello stesso periodo, le vendite totali di distillati in Canada sono diminuite del 12,8%. Anche i marchi nazionali hanno risentito del clima teso, con un calo del 6,3% per i prodotti canadesi e dell’8,2% per altri import provenienti da paesi terzi.

Fonte: Il Sole 24 Ore