Sequestrato un falso autoritratto di Benvenuto Cellini acquistato per 3200 euro

Sequestrato un falso autoritratto di Benvenuto Cellini acquistato per 3200 euro

Via libera al sequestro del falso autoritratto dello scultore Benvenuto Cellini, acquistato per 3200 euro, con un valore “garantito” di circa 107 milioni. La Cassazione conferma la misura preventiva per l’opera «Tete d’Homme. Benvenuto Cellini», attribuita all’artista fiorentino, per l’ipotesi di reato di messa in circolazione di opere d’arte di valore storico contraffatte per il quale sono indagati i ricorrenti. Secondo l’accusa una tentata truffa, commessa da chi aveva provato ad accreditare come autentico il quadro, “riprodotto” da ignoti nel XIX secolo, attraverso la richiesta legale dell’attestato di libera circolazione, forti di un pezzo di carta incollata sul dipinto che attribuiva la paternità a Cellini. Attestato, previsto dall’articolo 68 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, che consente ai proprietari di esportare all’estero le opere d’arte. Una richiesta che, per i giudici, non può essere considerata neutra, malgrado l’assicurazione degli indagati che non c’era alcuna intenzione di vendere il dipinto, comunque accreditato come autentico grazie a una perizia, smentita da autorevoli esperti, a iniziare da una relazione della Galleria degli Uffizi.

Il documento di libera circolazione

La Suprema corte sottolinea il valore fondamentale del documento di libera circolazione che, oltre a certificare che l’opera può uscire legalmente dal paese di origine, aumenta la fiducia nel mercato dell’arte, garantendo che le opere in circolazione siano autentiche e legalmente commerciabili. E per questo viene rilasciato solo per opere originali e di valore culturale riconosciuto. A deporre per lo scopo di lucro ipotizzato dall’accusa anche un’altra richiesta effettuata da un legale per conto degli indagati: la possibilità di creare dei non fungible token della copia digitale dell’opera in questione, a cui sarebbe seguito un marketplace in cui vendere gli NFT a possibili acquirenti. «Iniziativa che – si legge nella sentenza – smentirebbe in proposito quanto dichiarato dagli indagati di non voler ricevere alcun profitto economico dall’opera in questione».

Il blu di prussia

A livello indiziario pesano le conclusioni a cui sono giunti gli studiosi interpellati, secondo i quali il dipinto – acquistato a seconda delle versioni, a un’asta dell’antiquariato a Parigi o in una fiera nel Comune di Fayence – «non è di epoca cinquecentesca, ma piuttosto ottocentesca, e dunque non può in alcun modo essere attribuito alla mano del Cellini. In particolare, vengono considerate significative – scrivono i giudici – le indagini tecniche e scientifiche effettuate sul dipinto col riscontro della presenza di un pigmento (il cosiddetto blu di prussia) ancora non esistente nel 1500, che è stato sintetizzato nei primi anni del 1700 e utilizzato a partire dai decenni successivi. L’esito dell’analisi tecnico-scientifica, secondo i giudici del riesame, non avrebbe fatto altro che confermare le stesse conclusioni cui i predetti istituti nazionali sono giunti sulla base dell’analisi storico/stilistica del dipinto».

Fonte: Il Sole 24 Ore