
Sette fanatiche per le quali scrivere è vivere
«Un anno fa ho riletto tutti i loro libri. Stavo attraversando un periodo buio. Il desiderio di scrivere mi aveva abbandonata. Ma avevo ancora quello di leggere. Avevo bisogno di aria, di vivacità. Quelle letture mi diedero entrambe le cose. Vivevo con loro, mi addormentavo con loro. Le sognavo». Oltre venti libri già pubblicati, nel 2012 la scrittrice francese di origine spagnola, Lydie Salvayre, è in crisi. Si butta a capofitto nelle opere di sette grandi autrici: Emily Brontë, Colette, Virginia Woolf, Djuna Barnes, Marina Cvetaeva, Ingeborg Bachmann, Sylvia Plath. Divorata la loro letteratura, per prolungare la felicità che leggerle le aveva provocato, inizia a immergersi nelle loro biografie e nelle loro corrispondenze. Proprio lei, che aveva «sempre considerato con sommo sdegno l’idea di raccogliere informazioni sulla vita degli autori». E poi decide di raccontarle, nei sette capitoli di Sette donne (Prehistorica editore, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala, pagg. 232, euro 18). Due anni dopo vince il Goncourt con il romanzo Non piangere (sempre edito da Prehistorica, nel 2014, che ha in corso di pubblicazione altre sue opere). La incontriamo a Mantova, a Festivaletteratura. Dovrebbe essere stanca, è appena arrivata da Nîmes, ha 77 anni, e invece ci inonda di pura energia: il suo entusiasmo, la sua intensità, sono travolgenti. Le faccio la prima domanda e, solo rispondendo a quella, risponde a alcune altre che avevo preparate.
Perché, in un certo momento della sua vita, quando aveva già una lunga carriera di scrittrice alle spalle, ha sentito il bisogno di immergersi nelle opere, e poi nella vita, di sette autrici che l’hanno preceduta?
Perché le ammiravo, perché senza dubbio si preparava questo movimento che si è confermato dopo che consiste nel far rivivere le donne che sono state dimenticate, maltrattate, ignorate o peggio, vilipese, come Emily Brontë, che all’uscita di Cime tempestose è stata attaccata dai critici che hanno detto che il suo romanzo era rozzo, grossolano, volgare, contrario all’arte, moralmente indifendibile e cose simili. In Francia ha sempre avuto molto ascolto un saggio di Marcel Proust, Contro Sainte-Beuve, in cui sostiene che la vita di uno scrittore e la sua scrittura non hanno inente a che vedere. Io avevo sempre pensato fosse così, e invece mi rendevo conto che l’opera e la vita di queste donne non erano separate, e molte lo rivendicavano anche: Marina Cvetaeva, per esempio scriveva viverescrivere in una sola parola. Mi pareva che l’esperienza, la vita quotidiana non fossero separate dalla loro letteratura, al contrario erano coincidenti. E non era uno slogan, si vedeva per esempio nelle poesie di Silvia Plath, dove un verso di assoluto lirismo può introdurre una frase prosaica sul cucinare. O in Cvetaeva, che interrompeva un verso se l’emozione era troppo forte, se l’emozione della vita prevaleva sulla scrittura. Tutte queste autrici sono molto lontane dal formalismo. E hanno tutte un’esperienza estrema del dolore, come se questo portasse la lingua al suo più alto livello. In Plath è così evidente. La sofferenza, invece di farle tacere, rendeva la loro parola più forte. Mi ha molto fatto riflettere il rapporto tra dolore e creazione. Antonin Artaud diceva che scriviamo per uscire dall’inferno e Woolf diceva che se non scriveva diventava folle. Vivevano in un’epoca in cui le donne potevano solo ricamarePerché parlavo di follia, l’aver avuto difficultà culturali, vivere in un’epoca in cui le donne potevano solo ricavare e cvetaeva in un contesto politico che ha fatto si che sia rejete dall’unione sovietica e dai russi bianchi e plath perché aveva un nemico interiore. Woolf il demone nero e della depressione. Oggi sarebbe catalegate come bipolari tanto avevano l’impressione che la scrittura arrivava senza sforzo, che le parole venivano senza sforzo e poi woolf una volta il libro concluso,la depressione, plath che viveva con uno scrittore famoso e aveva l’impressione di essere una bambola vivente. E c’era tanto dolore in questo. Loro sollevavano delle domande che saranno poi poste momlto dopo. Orlado il genere
Genre come farà baudelarire
Bachman descrive quello che ora ciameremmo un femminicidio invisibile, discreto, legale, il matrimonio, in cui un uomo distrugge la moglie in nella più grande legalità e nell’ignoranza di tutto, è questo frnaza. E baum che descrive un amore tra due donne, anche questo mi pare molto in anticipo sui tempi.
Fonte: Il Sole 24 Ore