sfruttamento e paghe da 2,75 euro l’ora
Mentre si attende la decisione della Cassazione sull’amministrazione giudiziaria – e proprio mentre il governo è al lavoro su un disegno di legge già approvato in Senato per “tutelare” la reputazione delle aziende Made in Italy – la procura di Milano iscrive nel registro degli indagati tre amministratori di Tod’s e la stessa società sulla base della legge 231, con l’accusa di caporalato.
I tre sono Simone Bernardini, Operations – Footwear and LG Trade Compliance – BOM Manager, Mirko Bartoloni, Supply Chain Industrial Director, e Vittorio Mascioni, Compliance specialist – Tempo e Metodo. Gli inquirenti contestano la violazione delle norme sugli orari di lavoro, sulla sicurezza e l’igiene, paghe sottosoglia da 2,75 euro all’ora e non commisurate alle ore lavorate, operai costretti a vivere in condizioni alloggiative degradanti. Tutte situazioni già visibili in altre filiere, già commissariate per decisione del Tribunale di Milano (l’ultimo grande marchio coinvolto è stato Loro Piana).
A Tod’s viene contestata con «colpa organizzativa grave» al limite dell’«atteggiamento doloso», l’assenza di «modelli adeguati» a prevenire il reato di caporalato da parte di soggetti apicali. In particolare l’esternalizzazione del servizio di “audit” sulla società Bureau Veritas, specializzata in analisi del rischio, dalle cui ispezioni sarebbero emersi «numerosi indici di sfruttamento». Tod’s si sarebbe dotata, di fronte a queste evidenze di strumenti di prevenzione dal valore soltanto «cosmetico».
Tod’s, secondo i pm, avrebbe sfruttato almeno 52 lavoratori di 6 diversi opifici attivi nella filiera del colosso marchigiano di calzature, pelletteria e abbigliamento. Il pm Paolo Storari ha chiesto quindi al gip di Milano, Domenico Santoro, di disporre la misura interdittiva del «divieto di pubblicizzare beni e servizi» per 6 mesi. L’udienza è fissata per il 3 dicembre.
L’inchiesta era partita da 2 fornitori, di Baranzate, nel milanese, e Vigevano, nel pavese, entrambi in Lombardia, ma poi si era spostata anche nelle Marche, e si era inizialmente concentrata sulla realizzazione delle divise interne usate dai lavoratori. Per questo il tribunale non aveva proceduto all’amministrazione giudiziaria, soprattutto per motivi di competenza territoriale. Da qui, il ricorso in Cassazione della procura.
Fonte: Il Sole 24 Ore