
Sì alle intercettazioni padre-figlia, prevale il diritto di cronaca
Sì alla pubblicazione delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche svolte nel corso di un’inchiesta che riguardano i colloqui tra una donna e suo padre, ex ministro francese. Non ha dubbi la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza Charki contro Francia (28473/22), nel rafforzare la libertà di stampa, nonché il diritto della collettività a essere informata su questioni di interesse generale, respingendo il ricorso della donna la quale sosteneva che era stato violato il diritto al rispetto della vita privata.
La vicenda
Nel corso dell’indagine riguardante l’allora presidente Sarkozy sul finanziamento della campagna elettorale da parte del regime libico, il padre della ricorrente, noto uomo politico, era stato intercettato. Sul sito di Le Monde e poi sullo stesso quotidiano due giornalisti avevano pubblicato le intercettazioni, incluse quelle con la figlia sulla vicenda. La donna aveva avviato un’azione giudiziaria, con la richiesta di un indennizzo di 50mila euro, la distruzione del materiale in possesso dei giornalisti e la cancellazione da internet degli articoli. Tutti i ricorsi interni erano stati respinti e la donna si è rivolta a Strasburgo che le ha ugualmente dato torto ritenendo che non si è verificata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La posizione della Corte
La Corte di Strasburgo riconosce che la pubblicazione delle trascrizioni aveva compromesso il diritto alla privacy della donna perché erano state svelate anche conversazioni personali con suo padre e che sicuramente la pubblicazione sul web ne aveva amplificato la portata. Detto questo, però, la Corte, ha messo in primo piano la circostanza che si trattava di temi di interesse generale e che le intercettazioni non erano frutto di una sorveglianza clandestina ma erano state autorizzate dal giudice istruttore. L’obiettivo dei giornalisti non era divulgare questioni private, ma informare su temi di interesse generale. Inoltre, la pubblicazione delle intercettazioni non era andata al di là di quanto necessario per assicurare l’informazione della collettività e non era stata sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito.
I giudici nazionali, poi, nel respingere il ricorso della donna e nel dare ragione ai giornalisti, anche alla luce della stessa giurisprudenza di Strasburgo, hanno considerato come fattori rilevanti il contributo della pubblicazione al dibattito d’interesse generale, il grado di notorietà della ricorrente, l’oggetto, il contenuto e la forma della pubblicazione. Nessun dubbio, per Strasburgo, che le informazioni politiche e giudiziarie riguardano informazioni di importanza generale che vanno ben oltre la semplice curiosità di un determinato pubblico di lettori.
È vero, poi, che la figlia non era conosciuta al grande pubblico e che conversazioni svelavano aspetti personali, ma la donna «non poteva essere considerata come una persona comune che non attirava l’attenzione dei media». La figlia dell’ex uomo politico indagato e poi condannato era estranea alle vicende politiche e giudiziarie, ma per la Corte europea era inevitabile che fosse più esposta ai media di una «persona comune» perché aveva legami anche d’affari con il padre. I giornalisti, inoltre, pur pubblicando la «trascrizione fedele del dialogo» con il padre, erano stati attenti a non pubblicare dettagli sulla vita «strettamente privata» della donna e avevano agito secondo i parametri propri del giornalismo responsabile.
Fonte: Il Sole 24 Ore