
Sileo: il ruolo civile, politico e sociale dell’arte e le sue responsabilità
Diego Sileo, milanese, classe 1977, teorico e storico d’arte, dal 2004 collabora all’attività espositiva del PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e dal 2013 ne diventa curatore, concentrando i suoi interessi sull’esperienze e sulle teorie relative alla performance e alle poetiche corporee.
Ci racconti di te, del tuo percorso e della tua visione curatoriale? Soprattutto quali mostre che per impatto ed importanza possono essere qualificanti del tuo percorso?
Sono laureato in storia dell’arte con specializzazione in arte contemporanea e ho un dottorato in arte latinoamericana. Da subito ho iniziato a lavorare al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano: la mia è stata una scelta ben mirata nel volermi dedicare alla cultura pubblica e quindi a una delle istituzioni pubbliche d’arte contemporanea più longeve e più rilevanti del nostro paese, luogo che ha formato molti di noi con le sue mostre e con il lavoro dei suoi curatori che si sono avvicendati nel corso del tempo. Quindi la mia visione curatoriale non poteva che non risentire della cosiddetta “coscienza pubblica” e inevitabilmente ho sempre guardato al ruolo civile, politico e sociale dell’arte e alla sua responsabilità. Partendo da qui credo di poterti rispondere che probabilmente la retrospettiva di Adrian Piper che ho curato nel 2024 sia l’esempio più rappresentativo di questa mia visione. Però mi preme anche ricordare tutta la serie di mostre che ho dedicato agli artisti italiani di una precisa generazione, quella degli anni Sessanta, che con il loro lavoro avviato negli anni Novanta hanno cambiato il linguaggio dell’arte contemporanea italiana dopo le grandi stagioni dell’Arte Povera e della Transavanguardia, artisti che hanno elaborato una loro poetica assolutamente riconoscibile, di grande spessore, e che hanno poi influenzato tutte le generazioni successive.
Guardando al passato c’è un Padiglione Italia che ti ha particolarmente colpito o ispirato e quali errori non vanno ripetuti? E ampliando lo sguardo a quelli internazionali?
Per un verso o un altro, nelle ultime quattro edizioni della Biennale ho sempre trovato interessante il Padiglione Italia, credo che la scelta di lavorare con un artista o con al massimo tre artisti sia stata la svolta vincente: in ognuna di queste ultime proposte c’è sempre stato qualcosa che ha catturato la mia attenzione, ne ho apprezzato la scelta degli artisti e l’approccio curatoriale, anche se in alcuni casi molto lontano dal mio. Non voglio però parlare di errori perché ogni progetto aveva un suo carattere specifico e una cifra stilistica ben riconoscibile. E questo è ciò che conta per me. Sul fronte internazionale sicuramente il Padiglione Australia del 2022 affidato a Marco Fusinato e curato da Alexie Glass-Kantor.
Fonte: Il Sole 24 Ore