
«Simbolo e nome del M5s sono miei»: Grillo va alla guerra, che cosa rischia Conte
Beppe Grillo va alla guerra, e questa volta ci va fino in fondo: a circa sei mesi dal voto dell’assemblea costituente del M5s che ha cancellato la figura del Garante e superato l’ultimo tabù grillino, quello del limite del secondo mandato, dalle parti del fondatore si annuncia «a breve» «un’azione legale per riappropriarsi del simbolo e del nome del M5s».
La sentenza di Genova del 2021 e la disputa sulla proprietà del marchio M5s
Di Grillo si erano perse le tracce da quando, commentando l’esito della votazione che lo aveva “abolito”, aveva dichiarato che «vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio: fatevi un altro simbolo, il movimento è stramorto ma l’humus che c’è dentro no». Ora ci siamo, l’appuntamento è in Tribunale. Ma a chi appartiene davvero il simbolo del movimento nato nel 2009? L’avvocato Lorenzo Borrè, che negli anni scorsi ha rappresentato gli iscritti esclusi dalle votazioni arrivando ad ottenere il famoso “congelamento” degli organi dirigenti da parte del Tribunale di Napoli tra l’estate del 2021 e la primavera del 2022, non ha dubbi: appartiene al fondatore e Garante tramite l’Associazione Movimento 5 Stelle. La riprova arriva dalla Corte d’Appello di Genova, che con la sentenza del 2021 ormai passata in giudicato relativa alla causa n.56/2020 – una delle tante che hanno tempestato la vita del movimento, emessa nel contraddittorio tra M5s del 2009, M5s del 2012 e M5s del 2017, quello oggi presieduto da Conte – «ha detto la parola definitiva sul punto: nome “movimento 5 stelle” e contrassegno originale appartengono esclusivamente a Grillo». Ecco il punto saliente della sentenza della sezione terza civile: «Dirimente in tal senso è la piana lettura dell’art. 3 del Regolamento ivi riportato, ove testualmente si legge che “il nome del Movimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso”… Non vi è dubbio, come già correttamente argomentato dal Giudice di primo grado, che la diversa lettura data dall’appellante a tale disposizione appaia capziosa in quanto intenderebbe scindere l’uso del contrassegno da quello del nome, quando è evidente che i “diritti di uso”, posti alla fine del periodo, non possono che riferirsi tanto al nome quanto al contrassegno».
Il nodo della scrittura privata e della manleva per Grillo
C’è poi la questione della manleva. Se il contratto con cui Grillo riceveva dal M5s ben 300mila euro annui per la sua attività di comunicazione è stato rescisso nei mesi scorsi, resta sul tavolo la scrittura provata con cui Grillo si impegna a non promuovere «alcuna contestazione» nei confronti del M5s per quanto riguarda l’uso del nome e del simbolo, anche se in futuro il logo sarà modificato «in tutto o in parte». La contropartita per Grillo – che si impegna anche a «non prestare collaborazione funzionale e/o strutturale ad altre associazioni che hanno quale finalità quella di svolgere attività in contrapposizione e/o concorrenziale» – è appunto la manleva garantita dal movimento che lo solleva dalle conseguenze patrimoniali derivanti da eventuali cause giudiziarie. Certamente l’esistenza di questa scrittura privata, che non ha limite temporale, lega le mani a Grillo. Ma la decisione di andare in Tribunale significa che il fondatore, per una ragione o per l’altra, ha messo in conto di rinunciare alla manleva («le cause ormai sono pochissime», avrebbe confidato nelle scorse settimane ai fedelissimi). E paradossalmente – nota sempre l’avvocato Borrè – tale scrittura privata è la riprova che nome e simbolo appartengono prorio a Grillo: «Se il simbolo fosse del partito di Conte, infatti, perché riconoscere un corrispettivo per la non contestazione del diritto di utilizzo del contrassegno? E siamo proprio sicuri sicuri che il contratto blinda l’associazione? La prima certezza del Diritto, per chi lo pratica, è che non ci sono certezze assolute».
Grillo proprietario? Curreri avverte: i partiti non sono marchi aziendali
Materia per gli avvocati ce ne è. Quel che è certo è che si tratta di un percorso lungo e dall’esito incerto: se Grillo può rivendicare la proprietà del simbolo, Conte punta dalla sua sul fatto che la giurisprudenza negli ultimi anni è cambiata e non considera più i simboli dei partiti alla stregua di marchi aziendali ma piuttosto appartenenti per loro natura alla comunità degli iscritti e dei simpatizzanti. Come sostiene il costituzionalista Salvatore Curreri, esperto di diritto dei partiti: «La tendenza a registrare i simboli dei partiti come marchi è contrastata sia a livello ministeriale, perché in contrasto con la normativa vigente in materia di proprietà industriale e potenzialmente elusiva della disciplina sull’uso dei contrassegni elettorali, sia a livello giurisprudenziale, dove si ritiene che il diritto di proprietà individuale sul marchio non può sacrificare integralmente il diritto al suo da parte di un soggetto collettivo come un partito politico». In particolare, spiega ancora Curreri, il Tribunale di Palermo (sezione imprese, ordinanza 4 marzo 2015) ha stabilito che il simbolo di un partito non può essere considerato alla stregua di un marchio d’impresa «perché espressione dell’identità personale del gruppo di individui che si associano per la condivisione di una determinata idea politica. In definitiva, il simbolo di un partito appartiene non ad un soggetto ma alla comunità politica che in esso si riconosce e che in tal senso può agire in sua tutela secondo l’art. 7 del codice civile».
I 5 Stelle di Grillo potrebbero scippare a Conte un terzo dei consensi
Insomma, sarà un’estate frizzantina. Ad ogni modo se Grillo, alla fine di quella che si prosepetta come una nuova via crucis giudiziaria, non si accontentasse di scippare a Conte il nome e il simbolo ma volesse correre alle politiche sotto le vecchie gloriose insegne, allora le cose per Campo Marzio potrebbero mettersi male. Antonio Noto, all’indomani del voto della costituente, aveva stimato che se ci fossero due partiti, uno di Conte e uno di Grillo, il 30% degli elettori del M5s sceglierebbe il secondo. Vero che in sei mesi ne è passata di acqua sotto i ponti, ma è anche vero che al tempo del sondaggio di Noto la scelta era tra due partiti “generici”: se Grillo si riappropriasse del simbolo e decidesse di correre con qualcuno della vecchia guardia (Toninelli? Raggi?) le conseguenze potrebbero essere ancora più pesanti per Conte. I simboli, si sa, in politica hanno il loro peso.
Fonte: Il Sole 24 Ore