Socio di capitale in studio nelle società tra avvocati: il Cnf rinvia alla Consulta
Finisce davanti alla Corte costituzionale la presenza nelle società tra avvocati di soci di capitali, sia pure non con quota di maggioranza. A sollevare la questione è stato il Consiglio nazionale forense davanti a un ricorso presentato dall’Unione camere civili. Quest’ultima aveva chiesto la cancellazione dall’Albo di due società tra legali, la prima partecipata a sua volta da due società di capitali, la seconda con oggetto sociale esteso a corsi di formazione di natura commerciale; in entrambe, a dire delle Camere civili, si era creata una commistione tra attività forense e altre attività di diversa natura. A corroborare ulteriormente la tesi della cancellazione, il fatto che l’amministratore e rappresentante legale di una delle due società fosse imprenditore nel ramo assicurativo, noleggio di veicoli e luxury yacht charter, oltre che procuratore nel settore antifrode di una compagnia assicurativa.
L’ordinanza
Il Cnf, con l’ordinanza 87/2025, ha condiviso i dubbi sul rispetto della tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dell’avvocato e la possibile frizione con gli articoli 3, 24, 41 e 111 della Costituzione: nel mirino l’articolo 4 bis dell’ordinamento professionale forense modificato nel 2017 dalla legge numero 124.
L’ordinanza, dopo aver ribadito la competenza del Cnf sull’intera materia relativa agli Albi, valorizza la sentenza della Corte di giustizia europea del 19 dicembre 2024 nella quale si sostiene che uno Stato membro può vietare la partecipazione di investitori puramente finanziari al capitale di una società di avvocati e che una restrizione della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei capitali è giustificata dall’obiettivo di garantire che gli avvocati possano esercitare la loro professione in modo indipendente e nel rispetto dei loro obblighi professionali e deontologici.
Alle origini della questione
Il Cnf ricorda poi la genesi della disposizione contestata, osservando che con l’articolo 5 della legge 247/2012 il Governo era stato delegato a disciplinare la materia delle società tra avvocati prevedendo che «l’esercizio della professione forense in forma societaria sia (fosse) consentito esclusivamente a società… i cui soci siano (fossero) avvocati iscritti all’albo». Malgrado questa posizione, la legge 124/2017 ha consentito la partecipazione a società esercenti la professione forense anche a soggetti non avvocati prevedendo solo dei limiti di partecipazione (non più di un terzo del capitale sociale e riserva ai soci avvocati della maggioranza dei membri del organismo di gestione), limiti che peraltro anche la recente legge delega approvata dal Consiglio dei ministri e oggi in discussione in Parlamento conferma.
Peraltro, avverte il Cnf, sono gli stessi giudici europei a mettere in evidenza «una differenza ontologica tra l’attività legale, che deve essere totalmente indipendente per rispondere a esigenze di ordine generale, e quella dell’investitore di puro capitale orientata esclusivamente verso il profitto: tale differenza e incompatibilità, prosegue la Corte Europea, è di ordine assoluto e cioè prescinde dalla presenza, per legge o statuto o per convenzione pattizia, di limiti alla partecipazione del socio di puro capitale».
Fonte: Il Sole 24 Ore