
Soia strategica per Dop e biofuel: «Necessario un piano nazionale per produrne di più»
Un piano per aumentare la produzione nazionale di soia, materia prima strategica per la filiera agroindustriale e la produzione di energia rinnovabile, che attualmente, nonostante l’Italia sia il primo produttore europeo, copre appena il 20% del fabbisogno, con un milione di tonnellate di semi rigorosamente non Ogm (mentre è appena stata approvata una nuova deroga all’import) a fronte di una necessità di oltre cinque. Si tratta di una produzione alla base delle grandi Dop nazionali, utilizzata prevalentemente nella mangimistica ma con impieghi crescenti nei biocarburanti e con benefici ambientali come il miglioramento della fertilità del suolo e un uso ridotto di fitofarmaci.
La definizione di un piano agroindustriale condiviso di sostegno alla produzione è stato l’obiettivo dell’incontro promosso al Senato dal presidente della commissione Agricoltura Luca De Carlo su iniziativa di Cereal Docks, il colosso agroindustriale vicentino da 1,6 miliardi di fatturato guidato da Mauro Fanin attivo nell’import e trasformazione di soia anche Ogm, che acquista oltre metà della produzione nazionale. L’Italia prova a fare da apripista dove si è fermata l’Europa: la definizione di un piano proteico è sempre stata l’araba fenice della Politica agricola, sempre invocato ma non si è mai fatto, tanto che il deficit Ue, al 90%, è più grave di quello italiano.
Per riuscirci servono innanzitutto risorse, come ha ricordato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, ben oltre gli attuali aiuti specifici della Pac. Poi sono i problemi burocratici, con un costo di certificazione triplo rispetto alla Germania: «Abbiamo fatto un grande lavoro per ottenere la valorizzazione dell’olio di scarto ma l’autorizzazione scade a fine 2025, serve una proroga e va resa stabile per garantire gli investimenti». Per anni, ha ricordato il presidente della Cia Cristiano Fini, «la soia è stata snobbata mentre oggi si riconosce la sua rilevanza strategica per l’industria alimentare ed energetica. Dobbiamo incentivare gli agricoltori, alle prese con prezzi e rese poco remunerativi, e accelerare l’approvazione del regolamento Ue sulle Tea. Sui biocarburanti abbiamo una grande opportunità che non stiamo sfruttando».
Anche il fabbisogno dell’industria mangimistica è destinato ad aumentare, ha indicato Silvio Ferrari, vicepresidente di Federprima (l’associazione dell’industria di prima trasformazione), per questo i contratti di filiera sono uno strumento importante ma non bastano. «L’Italia deve tornare a coltivare 800mila ettari come faceva 40 anni fa – ha detto il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti –. Abbiamo un mercato da costruire legato all’uso energetico degli oli vegetali. Se riuscissimo a trasformare tutti gli oli presenti nei magazzini italiani, saremmo in grado di produrre energia sufficiente ad alimentare 15 ospedali come il Policlinico di Roma».
In questi anni il Brasile, big player globale insieme agli Usa, ha aumentato la produzione a 170 milioni di tonnellate e copre il 70% del fabbisogno europeo, che nel frattempo con le nuove norme sulla deforestazione rischia di aggiungere un altro dazio a quelli nordamericani. Il vero tema resta però quello legato ai finanziamenti europei, e sui biocarburanti la battaglia non può essere solo italiana, servono un quadro regolatorio e un mercato europeo per incentivare gli investimenti. Per questo la filiera chiede alle istituzioni di non penalizzarli: fino a qualche anno fa l’operatore che usava olio tracciato per produrre energia elettrica veniva premiato, oggi l’unico driver è il prezzo; va reintrodotto un meccanismo che privilegia l’acquisto di olio di filiera nazionale.
Fonte: Il Sole 24 Ore