«Sono in emodialisi» via WhatsApp: licenziamento legittimo

«Sono in emodialisi» via WhatsApp: licenziamento legittimo

Non hanno alcun valore medico o legale le comunicazioni inviate su WhatsApp dal lavoratore al Responsabile per informarlo dell’andamento della patologia da cui è affetto. Anche quando l’accertamento della severità della malattia serve a determinare se l’assenza rientri nel periodo di comporto o ne sia esclusa per la sua gravità.

La vicenda

Lo stabilisce la sezione Lavoro della Corte di cassazione con la sentenza 26956/2025, rigettando il ricorso di un lavoratore in terapia di emodialisi, condannato anche al pagamento delle spese legali. L’azienda aveva licenziato l’uomo per essersi assentato dal posto di lavoro per un tempo superiore al tempo di comporto previsto dal contratto. Il lavoratore aveva così chiesto al Tribunale di dichiarare nullo il licenziamento, ritenendo che la sua patologia rientrasse tra quelle «particolarmente gravi» escluse dal periodo di comporto stesso. A sostegno della propria tesi, aveva portato le conversazioni avvenute su WhatsApp con il Responsabile di filiale durante le quali descriveva l’andamento della malattia che lo costringeva alla dialisi. A quei messaggi, il Responsabile aveva risposto ipotizzando addirittura che l’uomo potesse accedere ai benefici previsti dalla legge 104/1992.

Eppure, secondo la Suprema Corte, aveva valutato correttamente il giudice di merito: la documentazione inviata all’azienda durante la malattia non presentava l’indicazione di «patologia grave che richiede terapia salvavita» e rimane privo di valore medico o legale lo scambio di messaggi su WhatsApp.

Fonte: Il Sole 24 Ore