
Sorpresa nei portafogli degli italiani. Non solo BTp, rischio azionario al 77%
Non solo «BTp people». Gli italiani si scoprono in realtà molto meno prudenti nell’impiego dei propri risparmi e più esposti al rischio azionario di quanto comunemente si possa pensare, anche se in via indiretta e spesso in modo non del tutto consapevole. A ribaltare la tradizionale visione di un investitore fedele ai titoli di Stato e al tempo stesso diffidente nei confronti della Borsa è una ricerca condotta dal team Client Solutions and Analytics di Pimco, che mostra come addirittura il 77% del rischio finanziario presente nei portafogli delle famiglie italiane derivi in pratica da componenti di tipo azionario.
Al fattore obbligazionario va sotto questo aspetto attribuito appena il 10% della volatilità dei rendimenti di medio-lungo termine alla quale è sottoposto il complesso degli investimenti, mentre il rimanente 13% è ascrivibile alla illiquidità. Questo non significa tuttavia che l’analisi, condotta sulla base dei dati dei Conti Finanziari della Banca d’Italia, sancisca necessariamente la fine di uno storico amore nei confronti del reddito fisso.
Il peso dell’azienda di famiglia
Pimco punta infatti l’attenzione su un elemento in genere sottovalutato quando si fa riferimento alle famiglie italiane e alla loro ricchezza. L’intero patrimonio finanziario sarebbe in realtà composto non soltanto dalle tradizionali classi di attivo e da prodotti finanziari diversificati – fondi comuni di investimento, obbligazioni, azioni quotate, prodotti assicurativi e pensionistici, liquidità – ma anche, e in molti casi soprattutto, dall’azienda di famiglia.
Quest’ultima, secondo i calcoli della società di gestione, rappresenta un quarto del valore di mercato dello stesso portafoglio finanziario, una quota che sale fino al 37% per i nuclei familiari più abbienti del nostro Paese ed è appunto da prendere in considerazione alla stregua di un’esposizione azionaria vera e propria. In altre parole, il vero «cuore azionario» dei patrimoni italiani non sarebbe costituito da Piazza Affari, ma dal laboratorio sotto casa.
Pur riconoscendo che si tratta di un «bene prezioso dal punto di vista economico, sociale e culturale», Pimco avverte che dal punto di vista dell’investimento questo genere di asset presenta un rischio assimilabile a quello del private equity «poiché le tipiche aziende familiari italiane sono private e di piccole o medie dimensioni, come quelle in cui solitamente investono i fondi». E a sostegno di questa affermazione, gli analisti ricordano che «durante la crisi finanziaria globale del 2008, il valore di mercato di queste aziende è diminuito di circa il 50%, un calo che ha richiesto quasi 15 anni per essere recuperato».
Fonte: Il Sole 24 Ore