
“Sotto le nuvole”, la vita alle pendici del Vesuvio secondo Gianfranco Rosi
«Ho girato e vissuto per tre anni all’orizzonte del Vesuvio cercando le tracce della Storia, lo scavo del tempo, ciò che resta della vita di ogni giorno. Raccolgo le storie nelle voci di chi parla, osservo le nuvole, i fumi dei Campi Flegrei»: Gianfranco Rosi ha presentato così, alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno, il suo ultimo documentario, “Sotto le nuvole”, con cui ha alzato il Premio Speciale della Giuria.
È un riconoscimento importante, che arricchisce la già preziosa bacheca del regista nato nel 1963 ad Asmara, in Eritrea, dove lavorava il padre: Rosi aveva già vinto nel 2013 il Leone d’oro alla Mostra di Venezia per “Sacro GRA” e poi l’Orso d’oro al Festival di Berlino per “Fuocoammare” nel 2016, film con cui era arrivato anche alla candidatura all’Oscar.
Curiosamente, però, le sue opere più incisive – “Below Sea Level” e “El Sicario – Room 164” – erano precedenti a questi trionfi, mentre negli ultimi anni sono risultate molto più deludenti “Notturno” (2020) e “In viaggio” (2022).
Con “Sotto le nuvole” Rosi ritrova un certo smalto, dando vita a una panoramica su quanto avviene alle pendici del Vesuvio in un lavoro simile a quello che aveva compiuto con il Grande Raccordo Anulare per il suo film di dodici anni fa.
In “Sotto le nuvole” Rosi inquadra un territorio attraversato da abitanti, devoti, turisti, archeologi che scavano il passato, un maestro di strada che dedica il suo tempo al doposcuola per bambini e adolescenti, i vigili del fuoco che vincono le piccole e grandi paure degli abitanti, le forze dell’ordine che inseguono i tombaroli, mentre, a Torre Annunziata, navi siriane scaricano grano ucraino.
Fonte: Il Sole 24 Ore