Souleymane Keita: come valorizzare la modernità dell’Africa occidentale

Souleymane Keita: come valorizzare la modernità dell’Africa occidentale

Il Senegal ottenne la propria indipendenza dalla dominazione francese il 4 aprile 1960. Il ritorno in patria di Léopold Senghor, primo presidente del Senegal indipendente, fu segnato da grandi cambiamenti istituzionali, economici e culturali. Senghor, egli stesso scrittore e poeta, diede un forte impulso alle arti e alla cultura e in un quadro di generale rinnovamento e sperimentazione, tra le diverse iniziative, nel 1966 furono inaugurati il Festival Mondial des Arts Nègres, un evento germinale che vedeva la presenza degli artisti del collettivo l’Ecole de Dakar, e l’apertura nella città di Thiès, della Manifacture Sénégales des Art Decoratif creata per produrre arazzi e opere tessili d’arte.
Da tempo la gallerista Cécile Fakhoury è impegnata in un lavoro di ricerca e valorizzazione della modernità dell’Africa occidentale, oggi Fakhoury rappresenta l’estate di uno dei più affermati artisti senegalesi moderni, Souleymane Keita (1947- 2014), ed a Arteconomy24 racconta come è andata. Cécile lei ha aperto tre gallerie di cui due in Africa, la sua prima a Abijan in Costa d’Avorio, la seconda a Dakar in Senegal e quindi a Parigi, dove rappresenta soprattutto artisti contemporanei africani e da qualche tempo cura l’estate dell’artista moderno Souleymane Keita…
«Nel 2012, quando ho aperto la Galleria Cécile Fakhoury ad Abidjan, la mia idea fu subito chiara: creare una galleria d’arte contemporanea nel continente africano – spiega la gallerista -. Non una galleria di “arte contemporanea africana” nel senso riduttivo del termine, ma uno spazio creativo ancorato al territorio, capace di dialogare con la scena artistica internazionale. Tutto si è svolto molto in fretta nei rapporti con gli artisti nel continente e della diaspora, poi attraverso una serie di ricerche e incontri, il mio sguardo si è rivolto anche alla modernità, così il legame tra artisti contemporanei e artisti africani moderni diventava sempre più ovvio. E, sì, dal 2021 la galleria rappresenta l’eredità di Souleymane Keïta, è stato con lui che abbiamo avviato un lavoro di approfondimento delle modernità artistiche nell’Africa occidentale».

Come state lavorando con l’estate di Souleymane Keita?È un genere di lavoro che richiede un impegno totale, un processo lungo, complesso, meticoloso, che domanda tempo e risorse e va oltre la realizzazione di una mostra o la vendita. Non cerchiamo ritorni immediati, ma a lungo termine. Nel caso delle opere degli artisti moderni dell’Africa sub-sahariana è fondamentale costruire un riconoscimento solido per l’artista, fare sì che il lavoro venga iscritto nella storia dell’arte e questo si fa attraverso la ricerca, le pubblicazioni, le mostre. Per Souleymane Keïta, abbiamo avuto la fortuna di partire da una base solida. Un’importante collezione di opere era stata conservata dalla sua famiglia, sua moglie e i suoi figli. Un buon numero di opere storiche era già stato autenticato, ed è stato molto d’aiuto. Ma siamo solo all’inizio di un lavoro che intendiamo fare sulla modernità nel west Africa. Ogni progetto richiede un impegno proprio, a sé stante e ambizioso, che vogliamo realizzare con cura, pazienza e costanza. Per ora, abbiamo scelto di dedicare questa energia a Souleymane Keïta.

Chi è più interessato alle opere degli artisti moderni del Senegal, i privati o i musei?In Senegal esiste una rete di collezionisti appassionati ben informati, interessati al modernismo, poi vi sono anche alcuni collezionisti storici che avevano conosciuto personalmente gli artisti e hanno acquistato le loro opere fin dai primi anni. Ciò costituisce una base importante. Riguardo le istituzioni, vi è un crescente interesse, un esempio, la Michael Rockfeller Wings che ha riaperto al Met di New York ha dedicato un ampio spazio all’arte africana, quella storica, ma anche moderna.

E a Dakar?Il Museo delle Musée des Civilisations Noires ha dedicato diverse mostre agli artisti della Ecole de Dakar o ad artisti come Iba N’Diaye. Questo lavoro di rilettura storica è essenziale: contribuisce alla costruzione di una memoria artistica collettiva e alla trasmissione di un patrimonio ancora troppo poco valorizzato.

Fonte: Il Sole 24 Ore