Spid e Carta di identità elettronica: a cosa servono e cosa sta cambiando

Spid e Carta di identità elettronica: a cosa servono e cosa sta cambiando

L’Italia punta tutto sulla Carta d’identità elettronica. A maggior ragione dopo l’allarme lanciato da alcuni provider, che potrebbero offrire (o offrono già) i loro servizi di identità elettronica a pagamento. «I cittadini e le imprese, possono finalmente arrivare alla carta di identità elettronica, che diversamente dallo Spid è indicata anche a livello europeo ed è molto più sicura» ha detto il sottosegretario all’Innovazione digitale, Alessio Butti. Entro il 2026, infatti, tutti gli Stati Ue dovranno avere almeno un portafoglio di identità digitale conforme al modello dell’Eudi wallet. Con l’It wallet, che si inserisce nel progetto europeo European digital identity wallet, s potrà avere sullo smartphone una serie di documenti: in una prima fase tessera sanitaria, carta della disabilità, poi la patente di guida e a seguire altri “attributi” digitali, anche di fornitori privati.

Perché i provider vogliono far pagare i propri utenti

Innanzitutto Poste Italiane, che gestisce il 70% circa delle utenze, chiarisce confermando la sua gratuità. È Infocert il gestore privato ad annunciare l’introduzione di un canone annuale di circa 6 euro. Allineandosi alla decisione presa nei giorni scorsi anche da Aruba, un altro importante identity provider, che ha dichiarato che il suo servizio non sarà più gratuito. Questo è causa di un’attesa molto lunga dell’erogazione di un contributo – spettante ai provider – pro quota di un fondo complessivo da 40 milioni di euro che il governo aveva stanziato per sostenere i costi di gestione. Al momento il finanziamento è già stato approvato a marzo e, secondo le indicazioni, i versamenti ai diversi provider dovrebbero iniziare a brevissimo.

Verso una «digitalizzazione democratica»

«In merito alle notizie di questi giorni secondo le quali non è prevista l’erogazione dei pagamenti ai provider privati che offrono il servizio di Spid, e la conseguenza che questi ultimi abbiano iniziato a far pagare tale servizio, lanciamo un appello al Governo: lavoriamo tutti, insieme, perché l’offerta ai cittadini di strumenti per la digitalizzazione sia ampia, variegata, accessibile e gratuita. E la digitalizzazione diventi sempre più ‘democratica’». Lo afferma in una nota Paola Generali, presidente di Assintel Confcommercio, l’associazione di categoria che riunisce le Pmi del digitale. «Per la fase contingente – prosegue Generali – ci auguriamo che i 40 milioni di euro previsti per ristorare i provider privati che offrono il servizio di Spid, arrivino al più presto. Per tutelare in primis i milioni di italiani che hanno attivato l’identità digitale e permettere che il servizio si diffonda ancora. In secondo luogo ci auguriamo che si prosegua e si incrementi lo sforzo per fare dell’Italia un Paese sempre più digitale, verso gli obiettivi sfidanti del Pnrr del 2026. Obiettivi che non possono prescindere da nessuna delle opportunità offerte finora al cittadino per una reale transizione».

Verso la completa digitalizzazione

«L’ultimo “Report on the state of the Digital Decade” ci dice che il Governo italiano sta facendo bene sulla digitalizzazione – sottolinea Paola Generali – ma c’è ancora tanto lavoro da fare e molte risorse da destinare. Lo stesso rapporto sottolinea l’importanza di strumenti come lo Spid per superare il digital divide e il gap che abbiamo con il resto d’Europa. Riteniamo dunque che si debba lavorare per incrementarne l’uso, in sinergia, scongiurando il rischio che i cittadini possano abbandonarne l’uso in quanto diventato a pagamento. L’obiettivo comune deve essere quello di arricchire l’offerta digitale al cittadino e non depauperarla. In questa direzione va la nostra proposta di presidi fissi nei quartieri delle nostre città per accompagnare i cittadini nell’utilizzo dell’identità digitale, spiegandone le modalità di fruizione ed essendo a disposizione per dubbi e problematiche. Il digitale è uno strumento per sua natura inclusivo e nessuno deve rimanere indietro».

Fonte: Il Sole 24 Ore