Spotify, l’addio del ceo Daniel Ek e cosa c’entrano i droni militari

Spotify, l’addio del ceo Daniel Ek e cosa c’entrano i droni militari

Prima o poi arriva il giorno in cui lo startupper «diventa adulto», lascia il timone del proprio business, magari allarga la visuale al business che gira intorno al proprio business o, più banalmente, si gode la vita. È successo nel 2019 in casa Alphabet Google con Larry Page e Sergey Brin, nel 2021 ad Amazon con Jeff Bezos, succede adesso a Spotify, la piattaforma di streaming che ha rivoluzionato il mercato discografico mondiale: fa il passo di lato anche Daniel Ek, l’ex startupper svedese appassionato di musica che 19 anni fa ebbe un’idea che manco a Steve Jobs era venuta.

Da gennaio 2026 non sarà più ceo: al suo posto ci saranno gli attuali vice Alex Norstroem e Gustav Soederstroem che, per sua stessa ammissione, «stanno facendo un ottimo lavoro», lui resterà presidente del consiglio di amministrazione «all’europea» e ovviamente azionista. Una mossa tutt’altro che attesa, considerando che Ek è appena 42enne, sensibilmente più giovane di Page, Brin e Bezos, ha creato l’azienda, ha convinto le major discografiche che il suo, dopo la rivoluzione digitale, era il miglior servizio possibile per veicolare la musica incisa, ha quotato la propria creatura a Wall Street, l’ha posizionata nel mercato dei podcast e l’ha portata al traguardo dell’utile.

Al di là delle sue dichiarazioni di rito («Ho due figli ma Spotfiy è come il mio terzo figlio e ora è come se si stesse laureando», ha detto), cosa può averlo spinto a lasciare? Mettendo in fila le cronache degli ultimi mesi, il nome di Daniel Ek appare spesso associato a Helsing, una startup tedesca che produce droni militari utilizzati nella guerra in Ucraina. Attraverso Prima Materia, il fondo di venture capital che ha fondato nel 2020 con il vecchio socio Shakil Khan, Ek ha infatti investito 600 milioni in Helsing, società che adesso vale qualcosa come 12 miliardi. E chissà quanto altro è destinata a valere, considerando i discorsi bellicistici di questi tempi e il progetto del «muro di droni» che l’Ue punta a innalzare sul proprio fianco orientale dopo le provocazioni russe.

La mossa di Prima Materia non è passata inosservata: dall’estate scorsa più di un artista musicale ha annunciato che avrebbe rimosso il proprio catalogo da Spotify per protestare contro l’investimento di Prima Materia in Helsing. I più noti tra questi sono sicuramente i Massive Attack, la band di trip hop di Robert Del Naja, producer dietro alla cui identità quasi sicuramente si cela lo street artist Banksy. A metà settembre i Massive Attack hanno annunciato di aver chiesto alla loro casa discografica Universal Music Group la scelta di lasciare Spotify (al momento i loro brani risultano ancora disponibili) assieme a quella di non distribuire la propria musica in Israele. Prese di posizione analoghe si sono registrate da parte dei meno noti King Gizzard & The Lizard Wizard, Xiu Xiu e Deerhoof, nonché dell’italiano Auroro Borealo. Un altro artista tricolore, Willie Peyote, ha criticato in maniera esplicita Daniel Ek («Finanzia i droni con i soldi della musica») in un concerto a Napoli.

Fonte: Il Sole 24 Ore