Strage del bus: vertici Aspi responsabili su controlli e obbligo di riqualificazione

Strage del bus: vertici Aspi responsabili su controlli e obbligo di riqualificazione

Controlli insufficienti e mancato rispetto della convenzione con lo Stato, con responsabilità dei vertici aziendali. Le accuse più gravi alla gestione di Autostrade per l’Italia (Aspi) “targata Benetton” (cioè fino al 2021) hanno retto il primo vaglio della Cassazione: ieri la Quarta sezione penale ha depositato la sentenza 25729/2025, che ha chiuso la vicenda giudiziaria del cedimento di una barriera del viadotto Acqualonga (sull’A16 presso Avellino), costato la vita a 40 persone e portato in carcere anche l’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci (condannato a sei anni). Una pronuncia importante, anche guardando al processo sul crollo del Ponte Morandi (43 morti), che tocca anche gli stessi vertici (il primo grado dovrebbe finire a mesi).

La posizione della Cassazione

Nelle 256 pagine della sentenza, la Cassazione ha affrontato le numerose questioni portate dalle difese confermando tutte le condanne comminate in appello ai dipendenti Aspi coinvolti e rideterminando solo quelle per altri due imputati (una dipendente della Motorizzazione e il proprietario del bus su cui viaggiavano le vittime).

Tra le questioni più rilevanti, la Cassazione ha rilevato che gli imputati di Aspi rivestivano una «posizione di garanzia» per la manutenzione della rete: i responsabili delle strutture centrali in forza del modello organizzativo dell’azienda (disattesa quindi la perizia di parte che aveva portato alle assoluzioni in primo grado), l’ad in forza soprattutto del principio affermato nel 2014 (sentenza 38343) secondo cui «la sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente» l’interessato dispone. Inoltre, chi è in posizione apicale non può delegare «le funzioni strettamente attinenti ai profili strutturali dell’organizzazione e direttamente coinvolgenti le scelte strategiche di fondo dell’organizzazione aziendale». Infine, l’articolo 16, comma 3 del Dlgs 81/2008 ammette deleghe ma non elimina la funzione di «alta vigilanza» dei vertici sul «complessivo compito di protezione e controllo affidato al delegato».

In questo quadro, l’ad non è responsabile solo per «occasionali disfunzioni». Ma qui, secondo la Cassazione, ci sono state «gravi carenze organizzative…imputabili, a monte, alla politica degli organi di vertice». È il caso di frequenza e modalità dei controlli (solo visivi) che «non possono che ritenersi, anche in specifica considerazione dell’oggetto sociale…, a tutti gli effetti, come “strategici”». Parole che riguardano le stesse carenze discusse nel processo Ponte Morandi, dove i principali imputati rischiano fino a 15 anni. E i giudici scrivono di «omissione di qualsiasi intervento» dell’ad sulle modalità di controllo, che hanno «valenza assolutamente strategica»; nella sua autodifesa (si veda Il Sole 24 Ore del 20 aprile), Castellucci aveva criticato la condanna affermando invece che per un ad «la inazione e l’ignoranza sono diventate forzatamente le migliori difese».

Fonte: Il Sole 24 Ore