
Studio Cgil: «Nel 2030 per andare in pensione ci vorranno 128mila euro di contributi in più del 2022»
La soglia necessaria per accedere alla pensione anticipata è aumentata rapidamente tra il 2022 e il 2025 e salirà ancora fino al 2030 rendendo l’uscita prima della vecchiaia “un miraggio”. Lo sostiene la Cgil spiegando che l’utilizzo del Tfr per raggiungere la soglia necessaria alla pensione anticipata a 64 anni (età che sarà aumentata con la crescita dell’aspettativa di vita) “non è la soluzione”. La segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione cita i dati di un’analisi dell’Ufficio previdenza della Cgil nazionale, che evidenzia il forte incremento degli ultimi anni.
Come è cresciuto l’importo soglia
Nel 2012, con la riforma Monti-Fornero, l’importo minimo richiesto è passato da 1.168,44 euro a 1.309,42 euro nel 2022, con un aumento complessivo di 140,98 euro in dieci anni, per poi accentuarsi a partire dal 2022; in tre anni, calcola Corso d’Italia, l’importo soglia è cresciuto da 1.309,42 euro a 1.616,07 euro, con un aumento di 306,65 euro, più del doppio di quanto accaduto nell’intero decennio precedente. Secondo le stime, nel 2030 la soglia raggiungerà 1.811,78 euro, cioè +502,36 euro rispetto al 2022.
Precarietà e salari
“Il vero nodo – fa presente Ghiglione – è quello della precarietà e dei salari: fissare una soglia così alta significa rendere impossibile l’uscita a 64 anni alla stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Basterebbe fare i calcoli: con retribuzioni medie o basse la soglia non è raggiungibile nemmeno dopo 40 anni di contributi e con l’utilizzo del Tfr”. I dati “parlano chiaro: da quando è in carica questo Governo – spiega Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Confederazione – l’importo soglia è cresciuto a dismisura: nel 2025 la soglia è di 1.616,07 euro (+306,65 euro rispetto al 2022, +23%) e nel 2030 arriverà a 1.811,78 euro (+502,36 euro rispetto al 2022, +38%). Solo questo incremento richiede un montante contributivo aggiuntivo di oltre 128.000 euro: un traguardo irraggiungibile per chi ha carriere discontinue e salari medi o bassi, che richiederebbe una retribuzione aggiuntiva di 388.953 euro al 2030”.
Solo chi ha redditi elevati supera i requisiti
Anche l’utilizzo del Tfr da sommare al montante contributivo maturato di fronte a questi numeri per la Cgil “sarebbe inefficace”. “La maggioranza dei lavoratori – dichiara Cigna – non riesce a raggiungere la soglia: con 8.000 euro annui di retribuzione, dopo 40 anni la pensione stimata è di appena 505 euro al mese; con 20.000 euro si arriva a 1.263 euro; solo chi ha redditi elevati supera i requisiti, mentre chi lavora tutta la vita con salari medi resta comunque sotto le soglie. Persino con la retribuzione media del settore privato, pari a 23.700 euro annui, dopo 40 anni la pensione stimata è di 1.496 euro, ben al di sotto della soglia prevista per il 2030”. “Il Tfr – prosegue Ghiglione – è salario differito, parte integrante della retribuzione: utilizzarlo in questo modo significa intaccare diritti certi senza risolvere nulla. Il Governo aveva promesso il superamento della legge Fornero ma nei fatti non solo ha azzerato la flessibilità in uscita, ha addirittura aggravato una legge che continua a evocare solo negli slogan. Anziché eliminare soglie impossibili le ha alzate, e adesso vorrebbe trovare soluzioni. Noi continueremo a batterci per una vera riforma previdenziale che assicuri equità, giustizia sociale e una pensione dignitosa per tutte e tutti, costruendo una pensione di garanzia per i più giovani”.
Fonte: Il Sole 24 Ore