
Sulle materie prime Trump proietta l’ombra di dazi, sanzioni e frenata del Pil
Poche certezze e molti interrogativi, che si traducono in volatilità. Sui mercati delle materie prime non si può dire che le acque si siano calmate all’indomani del trionfo elettorale di Donald Trump ed è probabile che le quotazioni continueranno ad oscillare nel prossimo futuro, a seconda delle suggestioni del momento. Dopo la batosta di mercoledì 6, nella seduta successiva c’è stato comunque un recupero generalizzato.
I metalli e in particolare il rame, che erano stato travolti da un’ondata di vendite, hanno ripreso quota cancellando una buona parte dei ribassi del giorno prima. In parallelo sono risalite le quotazioni di molti prodotti agricoli, compresa la soia, voce rilevante tra le esportazioni Usa, specie se si guarda a quelle dirette in Cina. E anche il petrolio è rimbalzato, sia pure in modo più debole, tornando nel caso del Brent a scambiare intorno a 75 dollari al barile. Sui mercati ormai si naviga a vista, con pochi punti fermi ad orientare la rotta. E si dovrà farlo ancora per molto tempo.
Tra le certezze – che sono poche, come si diceva – ci sono le dimensioni schiaccianti della vittoria repubblicana, che liberano le mani al nuovo presidente, grazie alla maggioranza conquistata anche al Congresso. E non ci sono dubbi nemmeno sul fatto che questa vittoria costringa a ridefinire in modo radicale ogni aspettativa, sul fronte economico e geopolitico, con ricadute significative per le materie prime, che sono fortemente esposte a dinamiche di scala globale e influenzate in modo particolare dalla Cina, identificata da Trump come obiettivo numero uno dei dazi a tappeto promessi in campagna elettorale.
Per gran parte delle misure annunciate, tuttavia, non si conoscono tempi e modi di applicazione. E per alcuni obiettivi proprio non si sa come verranno eventualmente perseguiti. Trump ad esempio ha ripetuto più volte di voler «porre fine alle guerre in corso» e se mai ci riuscisse questo avrebbe di certo un effetto ribassista sul petrolio. Ma il suo metodo prevede sanzioni più severe (di certo per l’Iran e chissà, forse anche per la Russia, in modo da spingerla a trattare la pace con l’Ucraina). E questo al contrario avrebbe effetti rialzisti: una stretta contro Teheran potrebbe togliere dal mercato almeno un milione di barili di greggio al giorno, secondo Energy Aspects.
Anche l’approccio più “amichevole” verso l’industria petrolifera potrebbe in teoria far scendere il prezzo del barile, ma la produzione Usa probabilmente non ha grandi margini di crescita, almeno nel breve: con Joe Biden alla presidenza è salita ai massimi storici (una media di 13,4 milioni di barili al giorno in agosto).
Fonte: Il Sole 24 Ore