Tassa globale in crisi dopo lo stop agli Usa. Attuazione a rilento fuori dall’Europa

Tassa globale in crisi dopo lo stop agli Usa. Attuazione a rilento fuori dall’Europa

Tra questi ci sono gli ultimi ritardatari dell’Unione europea (Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro, Polonia e Croazia), alcuni territori d’oltremare e dipendenze della Corona britannica (Gibilterra, Guernsey, Jersey e Isola di Man), alcuni Stati del Golfo (Qatar, Emirati Arabi Uniti, Oman) e poche economie di peso (Brasile, Canada, Australia).

Le contromosse

È chiaro che lo scenario cambia dopo l’intesa raggiunta nel G7, per quanto ancora vaga. E questo soprattutto per il modo in cui si è arrivati all’accordo. L’ex presidente Joe Biden era intenzionato ad applicare negli Usa la global tax, ma non aveva ricevuto l’ok dalla Camera, il ramo del Congresso controllato dai repubblicani. Donald Trump ha invece preteso l’esenzione dagli (ex?) alleati minacciando misure fiscali ritorsive, senza concedere nulla in cambio.

Ora che in città c’è un nuovo sceriffo, per dirla con le parole del vicepresidente JD Vance, cambieranno le strategie di tutti i giocatori, con possibili sviluppi già evidenziati da alcuni commentatori. Una migrazione di grandi gruppi negli Usa, per beneficiare del regime di favore. Una retromarcia dell’Unione europea, dove molte imprese rischiano di trovarsi a subire i dazi imposti da Trump e – in più – a competere con gruppi americani esentati dalla Global minimum tax. Una ripresa della concorrenza fiscale tra nazioni: altri Paesi potrebbero fare come gli Stati Uniti e invocare l’esenzione sulla base del fatto che applicano regimi fiscali nazionali analoghi all’imposta globale. E ancora: i Paesi con un basso livello di imposizione potrebbero modificare l’imposta domestica, rendendola più competitiva (con i conseguenti dubbi sul fatto che possa essere considerata qualificata). Già Barbados, ad esempio, ha un’imposta domestica che scatta solo in presenza di imprese locali a bassa imposizione che sarebbero soggette all’imposta minima integrativa o all’imposta minima suppletiva in un’altra giurisdizione.

È facile prevedere, a questo punto, che difficilmente molti altri Stati sceglieranno di entrare nella minimum tax.

Sullo sfondo si intravedono già le prime crepe all’interno della Ue. La Corte costituzionale del Belgio lo scorso 17 luglio ha ritenuto ammissibile un ricorso presentato da alcune associazioni imprenditoriali sulla imposta minima suppletiva e ha trasmesso il caso alla Corte di giustizia Ue, che dovrà valutare la compatibilità di tale imposta con il diritto dell’Unione. Un’eventuale bocciatura della normativa in Belgio avrebbe inevitabili delle ripercussioni anche negli altri Stati membri.

Fonte: Il Sole 24 Ore