«Temperatura globale fuori rotta, accordo di Parigi a rischio»

«Temperatura globale fuori rotta, accordo di Parigi a rischio»

I punti chiave

  • L’Italia e il Mediterraneo
  • Il nuovo corso Usa sul clima
  • Le opportunità

Una temperatura globale alle stelle che mette a rischio l’Accordo di Parigi, il dietrofront degli Usa sul clima e nuove opportunità che potrebbero aprirsi per la Ue nel campo delle osservazioni satellitari. Tre sfide legate al cambiamento climatico e agli strumenti per misurarlo e contrastarlo destinate ad animare il dibattito scientifico e politico nei prossimi mesi.

Sul podio il (triste) primato assoluto spetta al 2024, seguito dal 2023. Lo hanno certificato i dati del C3S, il Copernicus climate change service, uno dei sei servizi tematici del programma satellitare europeo. Mentre il 2025 si preannuncia al terzo posto, almeno secondo le informazioni disponibili finora. Lo scorso anno è stato il più caldo mai registrato e per la prima volta il termometro ha segnato 1,5 gradi centigradi in più rispetto al livello pre-industriale (1850) superando il limite fissato dall’Accordo di Parigi del 2015. In realtà il Trattato internazionale sul clima prevede un livello di vero allarme solo se la temperatura dovesse mantenersi sopra quella soglia in una media a vent’anni, ma anche in questo caso la situazione non appare molto confortante: «È verosimile – spiega il direttore del C3S Carlo Buontempo – che il 2023 e 2024 siano stati i più caldi degli ultimi centomila anni, si tratta di una situazione senza precedenti da quando l’uomo è comparso su questo pianeta». E il record del 2024 è destinato a non rimanere un caso isolato, anche se finora nel 2025 il termometro si è mantenuto al di sotto di quella soglia. «È molto plausibile – dice Buontempo – che in uno dei prossimi tre-cinque anni la temperatura la superi nuovamente». Non solo. «In base alle nostre simulazioni – aggiunge – se continuasse ad aumentare a questo ritmo è ragionevole pensare che alla fine di questo decennio la media sui 20 anni sarà sopra gli 1,5 gradi».

L’Italia e il Mediterraneo

Tutte le aree geografiche avranno impatto di qualche tipo, nessuna è al sicuro. «In Italia e nel contesto del Mediterraneo in generale – sottolinea il direttore del C3S – vediamo una serie di criticità che sono state evidenziate anche nell’ultimo rapporto dell’Ipcc: da una parte l’aumento della siccità e dall’altro precipitazioni sempre più intense», come la tempesta Elias in Grecia nel 2023, l’alluvione nella regione di Valencia nel 2024 o in quelle in Emilia-Romagna. Anche la rapida riduzione dei ghiacciai alpini nel nostro Paese è un dato da considerare. «Per dare un’idea dell’emergenza – fa notare – basti pensare che ormai l’unità di misura che utilizziamo non sono più i metri ma i chilometri cubici».

Il nuovo corso Usa sul clima

È troppo tardi per invertire la rotta? «Siamo sempre in tempo a modificare la traiettoria. Ma – avverte – più ritardiamo gli interventi di mitigazione con la riduzione delle emissioni e quelli di adattamento al clima che cambia, più accettiamo un livello di rischio più alto». Le premesse non sono incoraggianti in vista della Cop 30, la Conferenza delle parti sul clima che si terrò a Belem in Brasile a novembre. A preoccupare la comunità internazionale è anche il nuovo corso dell’amministrazione Trump sul clima. Il primo atto è stata l’ufficializzazione dell’uscita dagli Accordi di Parigi con l’ordine esecutivo dello scorso febbraio. Poi la drastica riduzione del 25% dei fondi ai satelliti Nasa per il monitoraggio del clima e alla Noaa, il servizio di previsioni sul clima. «I dati satellitari – spiega Buontempo – hanno un ruolo sempre più cruciale nella scienza climatica. Prima del 1979, quando è iniziata l’era meteo-satellitare, non avevamo quasi dati sull’emisfero sud. L’avvento dei satelliti ci ha permesso di colpo di avere informazioni su quella parte del pianeta. Ha rivoluzionato la capacità di comprendere il clima globale». Una capacità che ora potrebbe perdere un tassello fondamentale.

Fonte: Il Sole 24 Ore