Terre rare, il G7 valuta prezzo minimo per stimolare la produzione non cinese
Un prezzo minimo per terre rare e magneti prodotti fuori dalla Cina, in modo da stimolare lo creazione di nuovi impianti in grado di spezzare la dipendenza da Pechino, tuttora quasi assoluta e più pericolosa di un tempo, al punto da provocare frequenti blocchi di attività nelle fabbriche utilizzatrici (in gran parte nella filiera dell’automotive).
I Paesi del G7 e l’Unione europea stanno cercando una linea comune per accrescere la sicurezza degli approvvigionamenti di questi metalli strategici, preziosi anche nell’industria della difesa. E all’esame, secondo fonti Reuters, c’è anche la proposta di seguire la strada tracciata dagli Stati Uniti con l’accordo di luglio tra il Pentagono ed MP Materials, che promette di mettere il turbo allo sviluppo di una filiera autonoma in questo settore.
Il dipartimento della Difesa non solo è diventato il primo azionista di quello che oggi è l’unico produttore Usa di terre rare, rilevando una quota del 15% della società, ma ha anche garantito l’assorbimento dei volumi di produzione futuri ad un prezzo minimo di 110 dollari al chilogrammo per gli ossidi di neodimio-praseodimio: circa il doppio dell’attuale valore sul mercato internazionale, fortemente influenzato (e in qualche modo anche manipolato) dalla Cina.
Nonostante a livello globale ci sia stato qualche progresso in termini di diversificazione (soprattutto a livello di estrazioni minerarie), Pechino controlla tuttora oltre il 90% della capacità di raffinazione di terre rare e di produzione di magneti. Inoltre guida la domanda, con circa metà dei consumi globali. E in quest’epoca di guerre commerciali il Governo cinese non si è fatto scrupoli a sfruttare la posizione dominante come strumento di pressione, nei confronti degli Stati Uniti e non solo.
Da aprile la Cina ha imposto restrizioni all’export che in seguito ha gradualmente attenuato, ma senza eliminarle. E le difficoltà di rifornimento continuano, con ricadute tuttora molto pesanti per gli utilizzatori.
Fonte: Il Sole 24 Ore