Terreni, i prezzi battono l’inflazione ma 1,5 milioni di ettari restano incolti
L’interesse dei fondi d’investimento e il nuovo business dell’energia verde (biogas e agrivoltaico) spingono i prezzi dei terreni agricoli in Italia, che per la prima volta dopo vent’anni battono l’inflazione, con un’inversione di tendenza destinata a confermarsi. Sono, in estrema sintesi, le principali novità che emergono dal Rapporto 2025 del Crea sull’andamento del mercato fondiario, giunto alla 75esima edizione e punto di riferimento unico per indagare le tendenze delle quotazioni delle terre agricole, misurate nel valori assoluti “a nudo”, senza cioè tener conto del valore aggiunto dato dalle colture sovrastanti.
Dopo vent’anni meglio dell’inflazione
Lo scorso anno l’aumento del prezzo dei terreni ha superato dello 0,2% circa l’inflazione a livello nazionale e si è attestato quindi intorno all’uno per cento: un dato che può sembrare modesto, ma che invece è significativo nelle quotazioni di quello che storicamente è un bene rifugio non soggetto a repentine oscillazioni; anche perché è il risultato di una media tra zone con quotazioni e trend molto differenti tra loro.
Il valore medio è di 22.400 euro a ettaro: si va dai 47.100 euro pagati nel Nord-Est, ai circa 35.200 euro dal Nord-Ovest – dove si registra l’aumento maggiore dei prezzi (+2,3%) – fino a valori decisamente inferiori al Centro-Sud e nelle Isole, rispettivamente sotto i 16mila euro e i 9mila euro. Anche il numero di compravendite è aumentato del 4% con punte del 9% nelle regioni del Centro.
Vigneti e meleti al top
I dati “a nudo”, poi, nascondono differenze enormi tra le diverse aree del Paese, dove accanto a un pascolo o un bosco di scarso valore, un ettaro che ospita vigneti doc può raggiungere valori milionari. Il picco si registra nelle Langhe con 2,3 milioni per ettaro per i vigneti di Barolo. Ma anche i meleti del Trentino in Val Venosta costano da 450mila a 750mila euro ad ettaro; quotazioni da 500mila euro anche nella piana di Albenga per i terreni vocati all’ortofloricoltura.
Più in generale, la differenza di valore è dovuta non solo alla maggiore presenza al Nord di terreni in aree pianeggianti e irrigue, ma anche al più elevato tasso di urbanizzazione e al relativo consumo di suolo agricolo, che riduce l’offerta di terreni, spesso non sufficiente a soddisfare la domanda. Al contrario, nelle aree interne e montane prevale l’offerta di terreni da parte di agricoltori anziani e aziende in difficoltà economiche che spesso non trova riscontro sul mercato. Un tema chiave resta infatti quello della difficoltà dell’accesso alla terra, soprattutto per i giovani agricoltori, con l’aumento del ricorso agli affitti. C’è poi il capitolo dei terreni incolti, un milione e mezzo di ettari, con gli agricoltori italiani che sono tra i più anziani d’Europa.
Fonte: Il Sole 24 Ore