
Tessile-moda europeo contro l’ultra fast fashion: la richiesta congiunta di dazi sopra i 150 euro
Il tema è di estrema attualità, dopo la recente cancellazione del “de minimis” da parte dell’amministrazione Trump per colpire le piattaforme come Shein e Temu e dopo la proposta di legge francese contro il fast fashion (poi trasformatasi in “anti ultra fast fashion”) che dopo aver incassato l’ok di Camera e Senato dovrebbe concludere il suo iter quest’autunno, previa approvazione della Commissione Ue. La lotta all’ultra fast fashion – moda a bassissimo costo, generalmente made in China, acquistabile esclusivamente online – è oggi diventata oggetto di una dichiarazione congiunta firmata a Parigi, in occasione della fiera di tessuti Première Vision, da diverse associazioni di industrie tessili e di moda europee, inclusa Confindustria Moda.
La dichiarazione sollecita azioni immediate da parte dell’Unione europa e degli Stati membri, tra cui spiccano la riforma del Codice Doganale europeo e l’eliminazione dell’esenzione dai dazi per le merci sotto i 150 euro (che a inizio 2025 è stata oggetto di una raccomandazione della Commissione europea); l’introduzione di tariffe sui piccoli pacchi per finanziare controlli doganali più efficaci; il recupero dell’Iva sulle spedizioni di ultra fast-fashion; l’obbligo per le piattaforme di e-commerce di avere un rappresentante legale nell’Ue, responsabile al pari delle imprese europee; l’uso del Digital Services Act e del Digital Markets Act per sanzionare le pratiche scorrette. A questo si somma la richiesta dell’avvio di un dialogo con le autorità cinesi sul contrasto a modelli produttivi contrari agli obiettivi ambientali condivisi. Una parte della dichiarazione si rivolge direttamente ai consumatori: le associazioni chiedono loro di «privilegiare i prodotti sostenibili e sostenere le imprese e i marchi impegnati in una transizione responsabile del settore tessile e dell’abbigliamento».
«Con questa firma, insieme a Euratex e alle federazioni europee della moda, chiediamo una reazione immediata per la definizione di regole chiare e controlli efficaci per contrastare un modello che mette a rischio la competitività, l’occupazione e la sostenibilità delle nostre imprese, della filiera e dei nostri brand – ha commentato Luca Sburlati, presidente di Confindustria Moda -. La moda italiana ed europea devono continuare a rappresentare un punto di riferimento per qualità, trasparenza e responsabilità, offrendo un’alternativa concreta alla moda ultra-veloce, caratterizzata da modelli spesso insostenibili e da impatti ambientali devastanti. In questa sfida, sono convinto che sia fondamentale anche il ruolo del commercio e dei consumatori, che devono essere informati in modo corretto e trasparente, contrastando con fermezza fenomeni di distorsione e falsa comunicazione diffusi sui social network. Ogni giorno milioni di pacchi entrano in Italia senza pagare dazi, senza controlli doganali e senza verifiche sul rispetto delle normative ambientali e dei requisiti di produzione. Nei soli primi sei mesi dell’anno, nel comparto tessile-abbigliamento, l’import dalla Cina è aumentato del 18%, un numero che si commenta da solo. È una situazione che non possiamo più tollerare: servono scelte immediate e urgenti per ristabilire regole eque e proteggere il nostro settore, il secondo per export nel nostro Paese».
L’impatto dell’ultra fast fashion, infatti, è dannoso su più fronti. Quello ambientale, in primis, con la sovrapproduzione (legata al boom di acquisti di prodotti a costo molto ridotto) che già comporta e comporterà sempre di più l’aumento esponenziale dei rifiuti tessili, da poco oggetto della revisione della direttiva quadro sui rifiuti approvata a Strasburgo la scorsa settimana. Quello sociale, viste le condizioni di lavoro applicate dai fornitori di queste grandi piattaforme (uno dei temi che, a oggi, avrebbero contribuito a rallentare il processo di quotazione di Shein). E, ancora: la competitività dell’industria europea. I brand italiani ed europei, sempre più vincolati a standard ambientali e sociali elevati (il regolamento Ecodesign entrerà in vigore nel 2027), subiscono infatti la pressione di chi non è sottoposto alle stesse regole.
Fonte: Il Sole 24 Ore