
Tessile, non riutilizzare gli scarti fa perdere ogni anno 150 miliardi di dollari
Nel 2023 la produzione globale di fibre tessili ha raggiunto la quantità più alta di sempre, con 124 milioni di tonnellate, in aumento del 7% rispetto all’anno precedente, e un dato più che raddoppiato rispetto al 2000: tali cifre sono riportate nella più recente edizione del “Materials Market Report” della ong Textile Exchange, impegnata nella transizione circolare e più sostenibile possibile dell’industria tessile mondiale, che denuncia come nel 2030, se si seguirà questo ritmo, la produzione raggiungerà i 160 milioni di tonnellate. Per la maggior parte, il 57%, tali fibre sono sintetiche e ricavate da fonti fossili vergini, in primis il poliestere (il cotone copre il 29% del totale): anche se questa categoria è anche quella a essere cresciuta più velocemente negli ultimi anni, la quota delle fibre riciclate è ancora molto bassa, arrivando a toccare il 12,5% del totale, peraltro in calo rispetto al 13,6% del 2022.
Eppure, da tempo nel riutilizzo degli scarti tessili si è identificata una sicura via per raggiungere l’agognata, maggiore e autentica sostenibilità da parte dell’industria tessile e della moda. Un altro report, questo di Boston Consulting Group, mette in luce i vantaggi che deriverebbero da un riciclo più efficace degli scarti tessili. Secondo tale studio, intitolato “Spinning Textile Waste into Value”, circa l’80% dei capi dismessi finisce ancora in discarica o viene incenerito, mentre meno dell’1% viene effettivamente riciclato in nuove fibre. Una perdita enorme, non solo ambientale ma anche economica: ogni anno vengono disperse materie prime per un valore stimato di 150 miliardi di dollari.
Eppure, secondo le stime, portare i tassi di riciclo oltre il 30% permetterebbe di creare oltre 50 miliardi di dollari di nuovo valore e circa 180mila posti di lavoro. Entro il 2030, peraltro, la domanda di tessuti riciclati supererà l’offerta di 30-40 milioni di tonnellate.
«Lo studio mette in evidenza un dato su cui riflettere: oggi soltanto il 7% dei rifiuti tessili globali è disponibile come materia prima per il riciclo “textile-to-textile1”, il resto si perde in discariche e inceneritori. Un problema che richiama la necessità di creare nuove soluzioni industriali e tecnologiche su larga scala – afferma Beatrice Lemucchi, Managing Director and Partner di BCG -. Mai come ora ci troviamo nel momento giusto: in Europa la pressione normativa sta accelerando con l’introduzione della responsabilità estesa del produttore, che obbligherà i marchi a finanziare la raccolta e il riciclo nei mercati in cui operano. Non si tratta soltanto di adeguarsi a regole più stringenti, ma di cogliere un’opportunità strategica per rafforzare la competitività e trasformare lo scarto in risorsa».
Bruciare una sola tonnellata di tessuti equivale, in termini di emissioni, a sei voli andata e ritorno tra Londra e New York; conferirla in discarica ne vale addirittura otto. Se si tratta, peraltro, di discariche autorizzate, poiché distese di rifiuti tessili conferiti illegalmente, e con grave danno per l’abiente e le perosne, si molitolicano dal desderto di Aramaca, in Cile, a…, ma anche in Europa, dove in Romania la valle del Jiului, un tempo centro di prouzione mineraraia, si sta colmando di scarti da altri Paesi, in primo luogo la Germania, come ha denunciato un’inchiesta di Greenpeace.
Fonte: Il Sole 24 Ore