The armony show NYC – Il Sole 24 ORE

The armony show NYC – Il Sole 24 ORE

Nel calendario globale delle fiere, l’Armory Show continua a distinguersi come più di un luogo di scambio: è un laboratorio di linguaggi e prospettive che influisce sul modo in cui musei, critici e collezionisti immaginano l’arte contemporanea. Quello che un tempo era considerato un supermercato dell’arte è oggi un dispositivo capace di orientare priorità curatoriali e conversazioni culturali più ampie. L’edizione 2025 lo ha dimostrato con chiarezza, offrendo un impianto solido e ben strutturato.

La fiera non si è limitata a riproporre i formati consueti. Accanto a Galleries e Solo, sono state ripensate Function e Platform, concepite per accogliere pratiche ibride e sguardi indipendenti. Presents, riservata alle gallerie più giovani, si è rivelata il cuore pulsante: proposte nuove e a volte rischiose che hanno dato ritmo e vitalità alla fiera. Focus, curata da Jessica Bell Brown, ha posto l’accento sul Sud degli Stati Uniti, non più come periferia culturalema come centro generatore di storie multiculturali e diversita’. Le opere di RF. Alvarez, Aineki Traverso, Baldwin Lee e le celebri quilts di Gee’s Bend hanno intrecciato memorie sociali e genealogie affettive, restituendo complessità a un territorio spesso narrato in modo riduttivo. Platform, curata da Raina Lampkins-Fielder con la Souls Grown Deep Foundation, ha proseguito la riflessione con installazioni di Thornton Dial e Mary T. Smith. Function ha mostrato infine come arte e design possano dialogare in manière nuove e armoniose ai confini delle definizioni classiche.

Se la pittura ha occupato gran parte degli stand, non sempre con esiti memorabili, è stato il tessile a imporsi come linguaggio di rinnovamento. Secrist|Beach ha puntato su Jacqueline Surdell, che ha presentato una monumentale riscrittura del Giudizio Universale di Giotto (1303-1305) in corde e tessuti stampati: opera vibrante in cui si intrecciavano stratificazioni storiche e urgenze politiche. Retro Africa ha sorpreso per la libertà con cui ha esplorato l’estetica nera, costruendo un discorso non convenzionale. Baro Galeria ha scelto una lettura minimalista ma incisiva di Joanna Vasconcelos. Patel Brown ha presentato Alexa Kumiko Hatanaka con lavori su carta che univano tecniche tradizionali e forte intensità segnica, evocando l’unione di fragilità ambientali e psicologiche.

Anche l’Italia ha fatto sentire la sua voce con coerenza e varietà, confermando la vitalità di una scena che sa muoversi tra ricerca, tradizione e nuove urgenze. Studio G7 ha portato a New York la profondità meditativa di Franco Guerzoni: superfici stratificate di calce e pigmenti evocavano pareti affrescate consumate dal tempo, frammenti che riaffiorano e subito sembrano dissolversi. Non una semplice evocazione archeologica, ma una riflessione poetica sullo scorrere del tempo e sulla fragilità della memoria visiva: opere che chiedono ascolto lento, lontano dal clamore della fiera. Secci Gallery ha invece scelto la pittura, proponendo uno stand dinamico che indagava il confine mobile tra astrazione e figurazione. Qui la pittura appariva instabile, attraversata da cancellature e dissolvenze, segno che il medium resta laboratorio perenne di reinvenzione. Francesca Minini ha presentato un corpus di opere fra cui Francesco Simeti, capace di trasformare la bellezza innocua della ceramica in un medium politico. La forza del lavoro stava proprio in questo corto circuito: la seduzione barocca convive con la critica, producendo fascino e disorientamento. Insieme, queste tre presenze hanno delineato un’Italia sfaccettata, offrendo un’immagine capace di interrogare più che compiacere, confermando la solidità del Paese nel dialogo internazionale che l’Armory Show mette in scena.

Fonte: Il Sole 24 Ore