
Tortora «vendicato» da Bellocchio: la bella serie sull’errore giudiziario
Bellocchio e il cast al Lido
Il regista al Lido ha raccontato di come la vicenda non lo abbia colpito nel momento in cui è scoppiata, ma di come sia stato, invece, istigato a ragionarci sopra dalla lettura del carteggio tra la partner di allora di Tortora, la giornalista Francesca Scopelliti, e l’imputato. Di come l’errore giudiziario, realizzato attraverso la vicenda personale, abbia mosso la sua indignazione e compassione.
A Venezia, assieme a Bellocchio, Fabrizio Gifuni (Enzo Tortora), Lino Musella, nei panni del pentito Giovanni Pandico, Barbora Bobulova, che ha interpretato Anna Tortora, sorella del conduttore e ideatrice del format, e Romana Maggiora Vergano, nella veste di Francesca Scopelliti.
«Ci sono delle cose che non si sanno – ha spiegato Bellocchio – delle cose che sono oscure e su cui, scrivendo, devi prendere un rischio. La scena della giovane donna che si propone al programma perché sa piangere a comando, nasce dopo aver visto un provino fatto da Andy Warhol ad una ragazza, che per dieci minuti restava immobile e poi iniziava a lacrimare. Così ho voluto raccontare la dimensione cinica di Enzo Tortora che la scarta perché il tempo sprecato a “scaldare” il pianto poteva danneggiare il suo successo. Solo dopo, nelle sue sofferte traversie giudiziarie, capiremo perché questa scena è importante. Anche per il personaggio di Pandico abbiamo utilizzato tante cose che sono state scritte, e però, gli abbiamo messo in bocca battute che non credo che Pandico abbia mai detto e che ci siamo inventati lì per lì».
Lo stile
Girate con la grana degli anni 80, come se fosse un videotape e in stile televisivo in consonanza all’ambiente in cui il protagonista è immerso, le prime due puntate sviscerano l’origine dell’errore giudiziario, il pretesto grazie a cui l’arresto per droga poteva essere verosimile. Il primo episodio inizia infatti con il conduttore che sniffa cocaina. Da qui l’aggancio, nutrito e corroborato dall’invidia per il successo, che provoca la discesa agli inferi mediatica e rumorosissima. Bellocchio in Portobello è più attaccato alla realtà di quanto aveva fatto con Esterno notte. Qui il regista è tutto teso a scoprire assieme allo spettatore le tessere di un’enigma che ha lo spessore della verosimiglianza e che diventa “verità”. Molto vive le scene del carcere, l’iconografia dell’obbedienza della malavita organizzata, disturbanti le dichiarazioni dei pm. A un certo punto, Bellocchio si concede una libertà immaginifica: un pulcinella con le vesti da magistrato che sfida lo schermo. Ma siamo solo all’inizio, mancano quattro puntate…
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Fonte: Il Sole 24 Ore