
Tregua armata sui dazi: nuove contromisure Ue per 72 miliardi
La fondina resta chiusa, ma i colpi sono contati. Ancora scottata da un’intesa che – per stessa ammissione pubblica del capo negoziatore Maros Sefcovic – “sembrava vicina”, l’Europa ha scelto una tregua semi-armata. Il bazooka anti-coercizione, evocato da mesi come ultima ratio, resta un avvertimento e a prendere forma è invece la seconda lista di controdazi. Seppur alleggerita con cura diplomatica per colpire i pezzi da novanta del made in Usa fino a 72 miliardi di euro. Una pressione “calibrata” per non far saltare il tavolo e, al contempo, non farsi cogliere impreparati dal no deal.
Dall’altra parte dell’Atlantico, però, Trump marcia senza ripensamenti, rilanciando la narrazione del grande saccheggio. “Gli Stati Uniti sono stati derubati da amici e nemici, nel commercio (e nell’esercito!), per decenni”, ha tuonato di nuovo rilanciando la promessa di “fare ciò che è giusto per l’America”. Un affondo smussato più tardi da un accenno alla possibilità di “dialogo”.
“La sensazione era quella di essere prossimi a un accordo vantaggioso per entrambi”, ha riconosciuto Sefcovic accogliendo a Bruxelles i ministri competenti dei Ventisette, allineati nello stesso sentimento di “rammarico e delusione” per la lettera del tycoon. L’aliquota al 30% è vista come “proibitiva” per il commercio transatlantico. Ma, se sul nuovo stop alla prima ritorsione da 21 miliardi regna ancora il consenso tra i governi, l’insofferenza di alcuni verso la linea morbida di Ursula von der Leyen è iniziata a filtrare. A guidare la fronda degli intransigenti è Parigi che, per bocca del ministro Laurent Saint-Martin, ha chiesto insieme a Vienna di mettere le Big Tech nel mirino. “Non devono esserci tabù nella risposta europea”, ha scandito il francese, ricordando che il “rapporto di forza” lo ha innescato lo stesso Trump. E l’obiettivo di The Donald “non sembra essere l’armonia”, ha rincarato l’austriaco Wolfgang Hattmannsdorfer.
A controbilanciare la pressione sono invece Roma – rappresentata al tavolo dalla sottosegretaria Maria Tripodi, mentre il ministro Antonio Tajani è volato a Washington per incontrare Marco Rubio – e Berlino che, leggendo nella missiva dell’inquilino della Casa Bianca una mossa negoziale, continuano a predicare prudenza. “Non è un incontro di boxe”, ha avvertito da Bruxelles anche il ministro Francesco Lollobrigida, sottolineando il rischio di un’escalation che finirebbe per colpire le stesse aziende europee due volte. Alla scadenza del primo agosto mancano poco più di due settimane e l’Europa, ha assicurato Sefcovic, “non se ne andrà senza aver fatto uno sforzo concreto”.
Già visibile nel nuovo scambio che lo stesso commissario Ue al Commercio ha avuto con gli omologhi statunitensi Howard Lutnick e Jamieson Greer, anche se nelle istituzioni Ue si teme che nemmeno loro possano realmente orientare l’umore negoziale di Trump. Nel cuore del dossier resta una domanda sospesa: quale sia il male minore per l’Europa, considerando che l’obiettivo minimo del 10% con sconti sui settori strategici sembra difficile da raggiungere. Le concessioni europee sono già sul tavolo: dal gnl americano al sostegno all’industria della difesa a stelle e strisce. L’Italia, nella proposta di Lollobrigida, suggerisce anche di incrementare le importazioni da oltreoceano di fonti proteiche come la soia.
Fonte: Il Sole 24 Ore