Trump contro Harvard per ridisegnare la cultura e limitare il libero insegnamento
Non a caso, due giudici federali, uno in California e l’altro in Massachussetts, hanno subito sospeso il provvedimento, aprendo una nuova pagina nel braccio di ferro tra esecutivo e giudiziario. L’amministrazione Trump ha già investito la Corte Suprema della questione dell’applicabilità all’intero territorio nazionale delle decisioni dei singoli giudici federali. Al di là dell’illogicità dello spezzettamento del diritto in 94 diverse giurisdizioni di primo grado (o anche solo nelle 13 di appello), non vi è dubbio che su Harvard abbia competenza la Divisione Orientale del Distretto del Massachussetts.
A prima vista, l’amministrazione sembra avere poche probabilità di prevalere. La recentissima decisione con la quale la Corte Suprema ha negato i fondi federali a una scuola privata che escludeva i non cattolici sembra indicare una posizione non pregiudizialmente trumpiana.
Il tentativo di mettere l’istruzione privata sotto controllo federale potrebbe avere anche altre conseguenze. La più ovvia è il danno, forse irreparabile, al prestigio culturale americano: a caldo, una collega mi confidava di non voler più mandare in Usa dottorandi per non mettere a rischio la loro sicurezza e crescita scientifica. Strettamente collegata è la riduzione del soft power, tanto in termini di capacità di attrarre talento quanto di esportare idee e modelli americani.
La terza possibilità è la fuga di studenti all’estero, dal vicino Canada all’Europa, dove i costi sono inferiori e la qualità è più alta. Per evitarla, gli atenei più prestigiosi potrebbero contemplare l’apertura e sviluppo di campus o hub esteri. Non piccoli year abroad dal sapore quasi turistico, ma programmi di spessore, in grado di intercettare fondi pubblici e privati. Dal modello di Cinecittà come Hollywood on the Tiber degli anni Cinquanta si potrebbe passare a una Harvard on the Med, poco importa se a Barcellona o Venezia. In questa direzione spingono già i massicci tagli che i colleghi americani segnalano in ogni e-mail.
Che sia chiaro: nelle università Usa ci sono certamente colleghi eterodossi che insegnano corsi bislacchi, così come l’omogeneizzazione è una cappa spesso palpabile. Ma sostituire una dittatura culturale con un’altra è la risposta sbagliata per un problema irrilevante: Harvard è frequentata da meno dello 0,1% della popolazione universitaria statunitense, mentre le pubbliche pesano per circa due terzi.
Fonte: Il Sole 24 Ore