
Tselinny, il laboratorio del Kazakistan che dà voce alla cultura contemporanea
Il nome Tselinny fa riferimento alla parola russa “tselina”, che significa terra non sviluppata ma fertile e allude alle pratiche artistiche in evoluzione del Kazakistan e all’appropriazione sovietica della terra nomade. Il ruolo del Tselinny Center of Contemporary Culture è pertanto quello di unire generazioni, promuovere talenti locali e dialogare con il mondo senza rinunciare all’identità del Paese. Il prossimo 5 settembre inaugura il nuovo Tselinny Center ad Almaty, nell’ex cinema sovietico Tselinny trasformato dall’architetto Asif Khan. L’apertura prevede mostre, installazioni e il programma Barsakelmes, ispirato a un’isola del Mar d’Aral simbolo di memoria coloniale ma ormai prosciugato. La performance centrale rielabora una leggenda centro-asiatica come riflessione sulle crisi contemporanee. Tra le opere commissionate: un’installazione di Gulnur Mukazhanova (Kazakistan, 1984) incentrato sul concetto di porta e una video-opera con acquerelli della giovane Dariya Temirkhan (Kazakistan, 2000) dedicata a draghi e spiriti dell’acqua. Per approfondire la visione e le ambizioni che hanno guidato la trasformazione del Tselinny Center, abbiamo parlato con il suo fondatore, Kairat Boranbayev.
Come è nata l’idea del Tselinny Center of Contemporary Culture?
Quando ho iniziato a occuparmi di cultura avevo già realizzato diversi progetti imprenditoriali. Mi resi conto che in Kazakistan, nonostante la presenza di artisti e studiosi di talento e un pubblico interessato, mancava un’infrastruttura istituzionale contemporanea solida. Non esistevano piattaforme stabili dove lavorare con continuità, sviluppare programmi, invitare professionisti internazionali e dialogare alla pari. Tutto era frammentato. Ho voluto riunire in un unico luogo. All’inizio ci siamo mossi in piccolo, con progetti d’arte sporadici, spesso in collaborazione con aziende o all’interno di grandi iniziative culturali ospitate altrove. Quando abbiamo visto che funzionava — e che c’erano visione, pubblico e partner — è maturata l’idea di dare vita a un’istituzione stabile, con una sede permanente e una strategia di lungo periodo. Così è nato Tselinny: non come “un museo”, ma come risposta concreta a una necessità precisa, quella di creare uno spazio culturale contemporaneo e funzionale che mancava del tutto, e un ambiente in cui i talenti della regione potessero esprimersi appieno.
Cosa l’ha spinta ad aprire un centro di cultura contemporanea in Kazakistan?
Per gran parte della mia vita mi sono dedicato solo agli affari. Come molti negli anni ’90, bisognava ricostruire il Paese, sostenere le famiglie e far crescere l’economia. La cultura, in quegli anni, era un pensiero secondario. Solo quando è arrivata una certa stabilità ho iniziato a chiedermi: cosa resterà dopo di noi? Cosa lasceremo alle nuove generazioni? Tselinny non è un business né un investimento. È il mio tentativo di ricostruire un legame culturale tra generazioni ed epoche. Il Kazakistan sovietico ci ha lasciato un’eredità, ma ha anche nascosto molto. Avevamo una cultura fortemente censurata, non libera. Volevo un luogo in cui il Kazakistan di oggi — quello autentico, non costruito a tavolino — potesse esprimersi con la propria voce. Col tempo ho capito che senza cultura l’economia è cieca: si riduce al consumo. Io invece cercavo significato, un posto dove capire cosa sta a cuore alle persone e come affrontarlo.
Qual è la missione del Centro e a chi si rivolge?
La missione di Tselinny è essere una piattaforma dove tutti possano far sentire la propria voce: giovani, artisti, ricercatori e chiunque voglia conoscere il mondo attraverso la cultura. Non vogliamo imporre ciò che è giusto o sbagliato, ma creare un luogo di dialogo. Un posto dove si possa visitare una mostra o ascoltare una conferenza. Non si tratta di istruzioni da parte di esperti, ma di un’interazione viva con il pubblico su un piano di parità.
Ha una funzione educativa, di promozione artistica o di sviluppo urbano?
Tutte queste cose insieme, ed è questo il nostro punto di forza. Non ci limitiamo alle mostre: facciamo attività educative, partecipiamo a biennali, lavoriamo con archivi e progetti urbani. Durante la ristrutturazione della sede, ad esempio, abbiamo proposto al Comune di trasformare il parco adiacente in uno spazio d’arte all’aperto. Stiamo anche digitalizzando il nostro patrimonio, preservando ciò che rimane dell’epoca sovietica, perché, pur con tutte le sue ambiguità, è importante mantenerne il legame e reinterpretarlo. Credo che come istituzione offriamo alla città progetti che generano non solo arte, ma anche economia, turismo, piccole imprese e, soprattutto, pensiero.
Fonte: Il Sole 24 Ore