Tumori, dal paziente 1.800 euro l’anno per curarsi e il 16% delle donne lascia il lavoro

Tumori, dal paziente 1.800 euro l’anno per curarsi e il 16% delle donne lascia il lavoro

La tossicità

«Proffit è un questionario composto da 16 affermazioni su cui i pazienti sono chiamati a esprimere o meno il loro assenso: nove riguardano le cause delle difficoltà economiche e 7 ne misurano le conseguenze – sottolinea Laura Arenare, biostatistica della Struttura Complessa Sperimentazioni Cliniche all’Istituto Nazionale Tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli -. La validazione longitudinale del questionario è molto importante, perché potrà facilitarne l’utilizzo da parte della comunità scientifica internazionale. Proffit è in grado di stimare in modo appropriato i livelli di tossicità finanziaria, perché consente di dare voce ai pazienti che valutano la loro qualità di vita, senza condizionamenti da parte di clinici. Sono state anche evidenziate notevoli differenze a livello territoriale, perché i pazienti oncologici delle Regioni meridionali devono affrontare maggiori problemi economici rispetto a chi risiede al Nord».

Cresce la sopravvivenza

Nel 2024, in Italia, sono state 390.100 le nuove diagnosi di tumore. Un elemento positivo, determinato soprattutto dai progressi nelle terapie, è costituito dal costante incremento del numero di persone che vivono dopo la diagnosi: nel 2024 erano circa 3,7 milioni e, in base alle stime, supereranno i 4 milioni nel 2030. «La metà dei cittadini che oggi si ammalano è destinata a guarire, perché avrà la stessa attesa di vita di chi non ha sviluppato il cancro – continua il Presidente Perrone -. Si tratta di notizie positive per i pazienti, che pongono però problemi di sostenibilità per il sistema e un incremento dei carichi di lavoro per gli oncologi. La tossicità finanziaria non è causata solo dalla perdita di reddito, per l’eventuale uscita dal mondo del lavoro. Dai questionari Proffit, compilati dai pazienti, emergono cause che possono essere ricondotte a tre grandi macroaree e che possono aiutarci a contrastare il fenomeno con azioni a largo raggio. La prima riguarda la capacità di presa in carico da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Questo aspetto può essere affrontato, rendendo davvero funzionanti su tutto il territorio le Reti Oncologiche Regionali, oggi attive solo in circa la metà delle Regioni. In questo modo possono migliorare la qualità dell’interazione tra il paziente e gli operatori sanitari e la capacità di questi ultimi di parlarsi e costruire una rete di accoglienza, in cui il malato si senta preso in carico fin dal momento della diagnosi».

L’importanza delle reti regionali

«La seconda macroarea causa della tossicità finanziaria è rappresentata dalla distanza tra la casa e il luogo di cura e dalle conseguenti spese per i trasporti – spiega Massimo Di Maio -. Non intendiamo necessariamente i casi estremi di migrazione sanitaria dal Sud al Nord. La distanza media coperta dai pazienti non supera i 25 km, cioè il percorso che separa la periferia dal centro delle città, che però deve essere affrontato diverse volte al mese. Va ricordato che le strutture del nostro sistema sanitario, soprattutto per branche complesse come l’oncologia, tendono a essere concentrate nei grandi centri e meno sul territorio. Ecco perché le Reti Oncologiche Regionali e la medicina del territorio sono i temi su cui lavorare”.

Troppe cure escluse

«La terza macroarea riguarda le spese che il Servizio Sanitario Nazionale non copre: farmaci supplementari, integratori, visite specialistiche successive alla diagnosi – spiega Elisabetta Iannelli, Segretario FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. Questi costi possono pesare in modo significativo, soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione. A ciò si aggiungono le difficoltà lavorative: molti pazienti, in particolare i lavoratori autonomi o chi non gode delle tutele del lavoro subordinato, vedono ridursi drasticamente le entrate proprio mentre le spese aumentano. Il cancro non comporta solo costi diretti di cura, ma anche costi indiretti legati alla perdita di giornate lavorative, alla riduzione della produttività e, in alcuni casi, all’impossibilità di mantenere l’attività professionale. Il nostro sistema garantisce l’accesso ai farmaci anticancro, ma prestazioni come fisioterapia, chirurgia ricostruttiva o cure odontoiatriche – necessarie per molti pazienti in trattamento attivo – restano escluse. Anche protesi e ausili fondamentali, come parrucche o reggiseni post-operatori per le donne operate di tumore al seno, rimangono a carico delle pazienti. Parlare di ‘ritorno alla vita’ dopo il cancro significa considerare anche questi aspetti: la perdita di reddito, i costi indiretti e le spese non coperte. È su questo terreno che le Istituzioni devono essere sensibilizzate, perché la guarigione dal cancro non può prescindere dalla sostenibilità economica della vita quotidiana, altrimenti la vittoria clinica rischia di diventare una sconfitta sociale».

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Fonte: Il Sole 24 Ore