Ubs, mina risarcimenti sui bond azzerati del Credit Suisse
La Finma, authority di borsa svizzera, ha annunciato che presenterà ricorso contro la decisione del Tribunale amministrativo federale di revocare l’ordinanza del 2023 che azzerò 16,5 miliardi di franchi di obbligazioni emesse da Credit Suisse.
L’ultima istanza sarà discussa davanti al Tribunale federale di Losanna, il più alto grado di giurisdizione in Svizzera – apprezzato in patria per la sua impermeabilità alle interferenze esterne – ma la decisione è attesa non prima del semestre del 2026. Decisione importante, perché dovrà esprimersi sulle due severe censure statuite dal Tribunale amministrativo di San Gallo: l’assenza di un Viability event che giustificasse contrattualmente il write off dei Bond At1, e la «grave ingerenza» nei diritti di proprietà degli obbligazionisti – ridotti a zero – che avrebbe dovuto essere retta da una« base legale chiara e formale», base legale del tutto assente secondo i giudici.
Chi pagherà il danno?
A Zurigo il tema del giorno, all’indomani della sentenza “shock” a favore degli investitori/risparmiatori, è però già proiettato in avanti nel tempo: chi pagherà il danno (futuro ed eventuale) alle 3mila parti ed enti che hanno promosso la class action contro Ubs, Finma, e governo federale?
Non è infatti detto che il pesantissimo onere ricada sulle spalle della prima banca del Paese, che nel 2023 trasse fuori dalla bancarotta la seconda, perché il salvataggio di Stato deciso in un venerdì pomeriggio di inizio primavera sarebbe il risultato di un accordo tra gli attori riemersi a giudizio. Lo scrive del resto la stessa Finma in una nota di ieri: «La svalutazione (dei bond, ndr) faceva parte di un pacchetto complessivo per stabilizzare Credit Suisse attraverso una fusione con Ubs Group Ag, per la quale erano necessarie misure straordinarie di sostegno statale», ma è molto verosimile che Ubs abbia preteso una clausola di garanzia su un’operazione emergenziale da 3 miliardi di franchi percepita già dall’inizio come particolarmente ardita. Se così fosse, il salvataggio dell’ex gloriosa banca rischierebbe di ribaltarsi sugli attentissimi contribuenti elvetici e soprattutto sul livello amministrativo intermedio dei Cantoni, già in fibrillazione per i consistenti tagli dei fondi confederali.
I “bondisti”
Tra l’altro le pieghe del processo davanti al Taf di San Gallo svelano un parterre di “bondisti” molto variegato: non solo investitori persone fisiche (tra cui molte decine di italiani – Credit Suisse aveva avuto per decenni una torre sfarzosa a 50 metri dal confine pedonale di Como, epicentro nel 1977 di un memorabile scandalo/truffa ai danni degli esportatori di valuta italiani), ma anche fondi pensione di note aziende elvetiche, esposti per centinaia di milioni, e fondi stranieri, anche americani. Non bastasse Ubs, scrive l’agenzia Bloomberg, è «attualmente impegnata nell’integrazione di Credit Suisse e sta affrontando un’intensa battaglia di lobbying con il governo svizzero sui requisiti patrimoniali più elevati proposti dai funzionari a seguito della fusione».
Fonte: Il Sole 24 Ore