Uiv: continuano i segnali d’allarme nel primo trimestre per il vino italiano
I dati sulle spedizioni di vino nei primi mesi del 2025 sono “dopati” dalla corsa alle scorte prima dell’avvento dei dazi. La realtà dei consumi reali è molto diversa. Bisogna guardare alle vendite effettive e non solo ai dati doganali. È l’allarme lanciato oggi dall’Unione italiana vini secondo cui il mercato estero del vino made in Italy è in difficoltà.
Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv su base Nielsen presso grande distribuzione e retail nei primi 3 mercati al mondo (Usa, Germania e Uk) nel primo trimestre si sono verificati cali tendenziali a volume dell’8% (-5,5% a valore), con Stati Uniti a -5,4%, Germania a -11,8% e Uk a -6,4%.
«A eccezione del Prosecco – spiegano all’Uiv – sono in difficoltà quasi tutte le principali denominazioni: dal Pinot Grigio delle Venezie al Chianti, dal Lambrusco ai rossi piemontesi ai bianchi siciliani. Fase difficile anche in Italia: in Gdo nel trimestre volumi in calo di circa il 4% ma si prevedono decrementi ancora maggiori nella ristorazione».
Sempre secondo l’Osservatorio Uiv, l’export verso i Paesi extra-Ue ha chiuso il primo trimestre con volumi in calo tendenziale di quasi il 9% (-0,1% il valore) nonostante il +4% degli Usa (con un ulteriore campanello d’allarme di una frenata a marzo). Di fatto senza la performance positiva Usa, il calo presso i mercati che – secondo alcuni – dovrebbero fare da contraltare al mercato americano gravato dai dazi, sfiorerebbe il -17%”.
«Negli ultimi sei mesi abbiamo assistito a un paradosso – ha commentato il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi -: le spedizioni italiane verso gli Stati Uniti sembravano reggere o addirittura crescere in alcuni comparti, ma i dati reali sui consumi raccontano un’altra storia, ben più preoccupante. La corsa pre-dazi ha illuso i mercati ma la situazione è diversa: i consumi finali sono in calo o nella migliore delle ipotesi stagnanti. È quindi fondamentale – ha aggiunto Frescobaldi – non confondere le uscite (export) con il consumo reale, perché la vera analisi deve concentrarsi sul comportamento del consumatore finale, non solo sui dati doganali. Il rischio è quello di una falsa percezione di solidità del mercato che può portare a decisioni errate lungo tutta la filiera».
Fonte: Il Sole 24 Ore