
Un murale per Paola Clemente, morta nei campi dieci anni fa
Dieci anni fa, era il 13 luglio 2015, Paola Clemente moriva di fatica mentre lavorava nelle campagne di Andria all’acinellatura dell’uva. Aveva solo 49 anni. Sotto il sole pugliese, Paola lavorava otto ore al giorno senza contratto e senza tutele, per una paga di soli 27 euro. Ha lasciato un marito e tre figli. E ha scosso talmente le coscienze da portare in breve tempo il parlamento italiano all’approvazione della legge 199 del 2016 contro il caporalato e sfruttamento in agricoltura.
Nel giorno di questo triste anniversario in molti hanno scelto di portare i fiori sulla sua tomba a Crispiano, in provincia di Taranto, dove è nata: il sindaco della sua città, Luca Lopomo, la sindaca di Andria, Giovanna Bruno, nelle cui campagne Paola ha trovato la morte, e diversi sindacalisti della Flai-Cgil, compresa la sua segretaria nazionale Silvia Guaraldi. Alla memoria di Paola Clemente sono state istituite anche delle borse di studio, che stasera verranno consegnate agli studenti meritevoli dell’istituto professionale Elsa Morante di Crispiano.
Domani invece, ad Andria, sarà inaugurato il murale dello street artist Jorit dedicato a Paola. L’opera, realizzata sulla parete esterna degli uffici comunali, ritrae il volto della lavoratrice a fianco di una rappresentazione del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. All’inaugurazione del murale, che è stato promosso dalla Flai Cgil, saranno presenti il marito di Paola, Stefano Arcuri, il segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni, la sindaca di Andria e lo stesso autore. «Volevamo restituire memoria e dignità alla figura di Paola Clemente – spiega il segretario della Flai, Mininni – trasformando un luogo pubblico in uno spazio di riflessione, di denuncia sociale e di riscatto. La sua vicenda ha reso possibile approvare una legge che è considerata un modello in Europa e nel mondo nel contrasto allo sfruttamento sul lavoro, ma che dopo dieci anni ancora non viene pienamente applicata».
Che lo sfruttamento in nero della manodopera in agricoltura sia un problema ancora di là dall’essere risolto nel nostro Paese lo ha dimostrato la morte di un altro bracciante, il giovane indiano Satnam Singh, che poco più di un anno fa perse prima un braccio e quindi la vita nelle campagne di Latina. L’anniversario della sua scomparsa è stato celebrato il 19 di giugno scorso, e anche quel giorno è stata l’occasione per ricordare che nei campi d’Italia ci sono ancora 200mila lavoratori irregolari, stretti nella morsa del caporalato. Subito dopo la tragedia di Satnam, il governo Meloni promise di intensificare i controlli nei campi: i dati del 2024 dell’Ispettorato del lavoro parlano sì di un raddoppio delle ispezioni, ma nonostante questo il tasso di imprese agricole ispezionate resta fermo al 2%. Sempre troppo poco.
La legge 199 del 2016, ispirata dalla morte di Paola Clemente, prevedeva anche la creazione in ogni provincia italiana di una sezione territoriale della Rete del lavoro agricolo di qualità, vale a dire un organismo in cui istituzioni e parti sociali collaborano per garantire alloggi ai lavoratori, trasporti per raggiungere il luogo di lavoro e un’intermediazione trasparente per la manodopera. Ma ad oggi le sezioni create sono solo 49, meno della metà. Sono invece completamente fermi al palo i fondi del Pnrr, 200 milioni di euro in tutto, che dovevano essere destinati al superamento dei ghetti e alla riqualificazione degli insediamenti abitativi destinati ai braccianti immigrati.
Fonte: Il Sole 24 Ore