Un Otello di turgida opulenza

Annunciato al suo arrivo con sommo giubilo dal sindaco Dario Nardella, il sovrintendente del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino Alexander Pereira, viene, dopo tre anni, invitato dallo stesso ad uscire di scena. I conti non tornano più, pare che Pereira abbia speso più del dovuto (però ha portato significative sponsorizzazioni private, e artisti di primo rango, nuovi per Firenze), e dunque deve andarsene. Lo fa, adducendo ragioni di salute. Ma Nardella, che del Teatro del Maggio è presidente, il suo consiglio d’indirizzo, i tre revisori dei conti, dove erano ogni volta che Pereira presentava i bilanci, da loro poi approvati? Il ministro Sangiuliano invia Onofrio Cutaia come commissario straordinario: bisogna ridimensionare i costi, e anche il programma del Festival del Maggio viene drasticamente ridotto.

L’Otello di Verdi con la regia di Valerio Binasco

Dopo il concerto inaugurale di Gatti (con uno Strauss di Vita d’eroe sfolgorante) e il Don Giovanni di Mozart ripescato da Pesaro anno 2017 (regia garbata e con qualche idea interessante di Giorgio Ferrara, purtroppo scomparso pochi giorni fa), è stato così recuperato l’Otello di Verdi con la regia di Valerio Binasco. È lo spettacolo nato alla fine del 2020 in piena pandemia, allestito senza pubblico in sala e con tutti i distanziamenti e le precauzioni del caso. Fu ripreso da telecamere e microfoni, per essere maldestramente trasmesso da RAI 5. Del cast originale (scelto da Pereira) è rimasto solo Luca Salsi, Jago subdolo che scolpisce le parole con incisiva crudeltà e mostra disinvoltura nel dar vita a un personaggio che ormai conosce come le sue tasche. Per il resto dei cantanti, si ha per lo più l’impressione del raccogliticcio. Arsen Soghomonyan è un Otello incolore quanto a espressività, e risolve il personaggio con genericità; il suo canto s’inerpica talvolta su qualche sparata tenorile, ma non ha la duttilità delle mezze tinte. Zarina Abaeva avrebbe anche una voce morbida e tornita, ma la sua Desdemona risulta impacciata tanto nel definire con precisione il personaggio quanto nei movimenti. Esiti alterni nelle prove di Joseph Dahdah (Cassio) e Francesco Pittari (Roderigo), validi in Adriano Gramigni (Lodovico), corretti in Eduardo Martinez (Montano) e Matteo Mancini (Un araldo), sfocati in Eleonora Filipponi (Emilia). Della precedente edizione è restato anche Mehta, che può contare sui bei colori dell’Orchestra e sull’adesione del Coro del Maggio (brave anche le voci bianche): si assiste a un inizio di Otello di turgida opulenza, a un atto quarto come sospeso nella sua notturna tragicità. Ma la narrazione è discontinua, ci sono défaillances fra buca e palcoscenico, e non più l’avvolgente aura crepuscolare ben stesa l’altra volta. Quanto allo spettacolo di Binasco (ripreso da João Carvalho Alboim), era ed è dominato dallo squallore: macerie di una città devastata da una guerra dei nostri tempi (scene di Guido Fiorato), con una babele di outfit che disinvoltamente mescolano corazze antiche, divise militari recenti, smoking (costumi di Gianluca Falaschi). Ma la tragedia che racconta Otello è tutta interiore, e non ha bisogno di giustificazioni esterne che strizzino l’occhio all’attualità.

Fonte: Il Sole 24 Ore