un valore strategico ancora poco sfruttato

un valore strategico ancora poco sfruttato

I dati parlano chiaro: la strada che porta a trasformare la conoscenza del purpose della propria azienda in azioni strutturali è ancora lunga. Lo dicono i dati dell’Osservatorio Purpose in Action della School of Management del Politecnico di Milano, realizzato in collaborazione con Doxa, secondo cui il 68% degli 836 manager italiani (figure impegnate nella gestione strategica dell’organizzazione) oggetto di indagine dimostrano di conoscere e di saper esprimere la ragione d’essere della propria azienda (con un aumento del 6% rispetto al 2024) ma solo il 13% ha già osservato cambiamenti significativi. Il 6%, inoltre, ha evidenziato anche come il lavoro sul purpose abbia creato ambiguità nei ruoli, riflettendo difficoltà di allineamento o mancanza di chiarezza interna nella fase di implementazione di questo concetto.

Lo studio, presentato in occasione del recente Purpose Day organizzato da Polimi Graduate School of Management, nasce per analizzarne gli impatti e il grado di percezione in un’azienda “for profit” e parte da una precisa definizione di questo concetto, ossia l’aspirazione ultima a raggiungere un obiettivo che va oltre la ricerca del semplice del risultato economico-finanziario e implica la creazione di valore non solo per gli stakeholder diretti dell’azienda, ma anche per la società nel suo complesso e per l’ambiente.

Uno scenario di luci e ombre

È dunque uno scenario di luci e ombre quello che caratterizza la presenza “attiva” di questo elemento dentro l’organizzazione, e tale ambiguità è confermata da una serie di altri indicatori emersi dalla ricerca. Oltre il 30% dei manager rileva effetti concreti nella collaborazione interna e nella condivisione valoriale, effetti che vanno considerati come prime manifestazioni tangibili di un percorso che inizia a tradursi in azione e cultura aziendale mentre il 40% dei manager fatica ancora a differenziare il purpose rispetto ad altri elementi identitari dell’organizzazione quali la visione dell’impresa o la sua mission, evidenziando di fatto la permanenza di un’elevata confusione concettuale in materia (solo il 25% conferma di comprendere pienamente questa differenza). Ed è indicativo, in proposito, il fatto che “solo” l’80% di chi ricopre un ruolo apicale (direttori e Ceo) sia in grado di esprimere il purpose della propria azienda (il restante 20% non è quindi in grado di metterla a disposizione dell’organizzazione) e che la percentuale scende in modo proporzionale sia rispetto al ruolo ricoperto dentro l’organizzazione (al 68% per i manager di medio livello e al 63% per quelli di primo livello) sia rispetto alle dimensioni dell’impresa, con le medie aziende che confermano questa dote nel 70% dei casi e le grandi che si fermano invece al 67%.

Cresce la consapevolezza, manca ancora la traduzione pratica

C’è quindi ancora parecchia strada da percorrere ma, come ha osservato Josip Kotlar, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Purpose in Action e Professore Ordinario di Strategia, Innovazione e Family Business al Politecnico di Milano, serve probabilmente una maggiore presa di coscienza complessiva nei confronti di questa tematica. «Il purpose – ha spiegato al Sole24Ore.com – va inteso come un’espressione della voglia di fare qualcosa di diverso, di andare oltre una dimensione puramente simbolica per diventare un reale fattore di trasformazione e fonte di vantaggio competitivo. È un percorso e un processo che permette di creare nel tempo un comune senso dell’impresa e, in contesti complessi e dinamici, di guidare innovazione, sostenibilità e motivazione interna. I risultati dell’Osservatorio 2025 mostrano una crescente consapevolezza, ma evidenziano anche la sfida chiave, che è quella di tradurre la conoscenza in pratiche concrete a tutti i livelli aziendali”. Il purpose, insomma, non può essere un asset statico ma una bussola che guida scelte e comportamenti organizzativi, un valore che si costruisce, si implementa e si sviluppa passo dopo passo e per cui serve attivarne il valore trasformativo per generare un cambiamento reale, migliorando di conseguenza le organizzazioni.

Fonte: Il Sole 24 Ore