Un’identità per ogni occasione, il logo cambia in tempo reale

Nulla è per sempre. Una regola che vale per sportivi, influencer e aziende di ogni sorta. È ciò che racconta il brand americano dei veicoli agricoli John Deere, che dopo quasi due secoli di storia ha deciso di ripensare il proprio posizionamento adeguandosi ai tempi correnti. Così uno dei principali colossi mondiali nell’agricoltura, nato in Illinois nel lontano 1837 da un fabbro diventato startupper e che oggi registra un fatturato aggregato di 37 miliardi di dollari per 67mila dipendenti, ha lanciato una campagna senza precedenti per trovare chi racconta al meglio la vita in campagna, rigorosamente su uno dei suoi veicoli. L’obiettivo è scovare un chief tractor officer, ossia un volto per i social e per il profilo di TikTok. Una rivoluzione copernicana per l’austero marchio riferimento per migliaia di coltivatori. «Dietro ogni parte della nostra vita quotidiana ci sono eroi non celebrati che lavorano dietro le quinte e che hanno una storia da raccontare. Il ruolo del chief tractor officer non consiste solo nel creare contenuti, bensì storie avvincenti sulle persone e sulle industrie che supportano tutti noi». Così ha affermato Jen Hartmann, direttore globale delle pubbliche relazioni di John Deere. A spingere la ricerca per la nuova posizione è il quarterback della National Football League Brock Purdy. In un video di poco più di due minuti questo campione ventiquattrenne sale a bordo di un trattore e dialoga con il compagno di squadra Colton McKivitz. In mano l’immancabile palla ovale.

Il logo che cambia

Guai a adagiarsi sugli allori o persino in un campo arato. Perché cambiare è una necessità. Vale per lo storytelling e vale per il posizionamento visuale. Non è un caso che tra i brand d’eccellenza stia venendo fuori una nuova generazione di loghi. Colorati, multiforme, interattivi, creati dal basso. In un mondo instabile, anche quell’elemento che per sua natura è intoccabile impara a evolversi. Di più, a identificare un cambiamento costante. «Si tratta anche di una modalità per esprimere concetti coerenti con la dimensione contemporanea dei brand, sempre più piattaforme, luoghi di scambio in cui gli interlocutori assumono un ruolo importante. La variazione consente di comunicare molteplici espressioni in grado di intercettare la varietà dei pubblici a cui si rivolgono. Ma non è una novità assoluta: i primi casi di identità dinamiche o variabili si registrano già negli anni Sessanta, in particolare in Inghilterra e in Svizzera con progettisti come Henrion e Gerstner. Sono proto-identità dinamiche in cui il logo varia per dare evidenza dell’organizzazione di un’azienda con filiali in vari Paesi nel caso di Henrion per Metra International. Invece Gerstner lavora su un monogramma che varia riferendosi alla flessibilità dei prodotti di Holzäpfel, azienda di arredi in legno», afferma Francesco Guida, professore associato al Dipartimento di Design e docente alla Scuola del Design al Politecnico di Milano, nonché coordinatore scientifico del centro di documentazione sul progetto grafico di AIAP (Associazione italiana design della comunicazione visiva).

Marchi a geometria variabile

Il marchio variabile è tornato a interessare molti designer anche grazie ad alcuni passaggi tecnologici, come la diffusione degli ambienti di coding e alla loro accessibilità. «Sono cambiati gli strumenti con cui si progetta un logo e una identità e sono cambiati i canali in cui deve essere veicolato. Le necessità della comunicazione digitale, la velocità di fruizione di contenuti e informazioni presentano sfide nuove con frequenza sempre maggiore. Quindi un logo può e deve essere pensato per essere dinamico, flessibile, cinetico. Poi vi sono diverse scuole di pensiero: c’è chi ritiene che il marchio debba essere stabile, immutabile. E a variare allora possono essere altri elementi come i colori o le immagini, la tipografia, gli elementi secondari», precisa Guida.

Da intoccabili a mutanti: ecco l’evoluzione contemporanea del logo. «È l’elemento più importante della brand identity, spesso inscindibile dal marchio che rappresenta. Per questo è sempre stato l’aspetto più difeso, in modo quasi militare e religioso. Attraverso aree di rispetto invalicabili e bibbie grafiche come tavole delle leggi si è messa a sistema la sua tutela. Tutta questa enorme responsabilità di rappresentare l’azienda con i suoi valori è stata assegnata a un piccolo elemento grafico, oggi deresponsabilizzato. Un nuovo setting emotivo e nuove piattaforme di comunicazione tengono conto di una sola regola: le persone non scelgono più solo il prodotto o servizio di un brand, ma il suo universo valoriale, culturalmente dinamico. Così nasce il logo mutante, il logo dinamico, il logomorfismo. Non è più un segno, ma un messaggio. Non è più statico in basso a destra ma è vivo, respira e ispira», afferma Stefania Siani, CEO di Serviceplan Italia e presidente di Art Director’s Club Italiano.

Gli esempi nel mondo

In fondo è quanto racconta anche l’ultima declinazione legata ai giochi olimpici di Los Angeles previsti nel 2028: l’elemento visivo della lettera “a” vedrà mille diverse declinazioni da parte di designer, artisti, utenti. Ma anche del visual legato al colosso telefonico brasiliano Oi con il logo cangiante. E ancora il gioco lessicale attorno ad Heineken e alla sua pronuncia e scrittura. Uno e centomila diverse forme ispirazionali di una identità visiva che cambia, come tutti noi. Altro che statico e immutabile. In questi anni liquidi il logo non è più il Sacro Graal di un tempo. Oggi evolve con la propria tribù, si trasforma a seconda degli eventi, arriva a cambiare pantone, forma, lettering. Una nuova estetica per un marketing dinamico, visuale, extra-verbale. Una discontinuità che parte da oltreoceano. «Le rivoluzioni partono spesso dalla musica e dall’America. Il logo di MTV è uno degli esempi più iconici e precursori di questa tendenza. Fred Siebert di Manhattan Design spinse all’estremo le leggi della grafica rifiutando uno schema fisso a livello cromatico, di forme e texture. Il risultato? Un’identità capace di esprimere un universo giovanile in costante mutamento, ribelle e pronto a cambiare pelle. Ecco l’idea vincente: usare la mutevolezza come frontiera radicale della personalizzazione», conclude Siani.

Fonte: Il Sole 24 Ore