Usa, il governo rilancia lo Stato-azionista. Ipotesi ingressi nella difesa

Usa, il governo rilancia lo Stato-azionista. Ipotesi ingressi nella difesa

Dichiarazioni a getto continuo. Ormai non passa giorno che qualcuno del Governo americano non si “eserciti” in dichiarazioni di politica economica. In particolare, sul fronte dell’intervento dello Stato in aziende private. Così ieri – dopo che due giorni fa il consigliere della Casa Bianca Kevin Hasset aveva parlato dell’ipotesi di «un fondo sovrano Usa» – è stata la volta di Howard Lutnick. Il segretario al Commercio ha confermato che l’Esecutivo valuta la possibilità di acquisire quote in colossi come Lockheed Martin, Boeing e Palantir, aziende già fortemente dipendenti dagli appalti pubblici. «C’è un grande dibattito su come finanziare le forniture militari», ha spiegato Lutnick, ricordando che la stessa Lockheed ricava «il 97% dei suoi introiti» dal Governo americano ed è quindi «praticamente un braccio dello Stato».

Il programma

L’annuncio – va ricordato – si inserisce in una serie di mosse senza precedenti con cui Donald Trump va ampliando la presenza diretta del Governo Usa nell’economia. La scorsa settimana è stato reso noto l’acquisto di quasi il 10% di Intel, mentre a giugno Washington aveva esercitato un ruolo decisivo nella vendita di U.S. Steel ai giapponesi di Nippon Steel. Un’operazione in cui è stata definita una “golden share” con forti poteri di veto riguardo alla gestione aziendale. Non solo. Lo Stato è entrato nel capitale della società di terre rare MP Materials e ha imposto a Nvidia e AMD di riconoscere agli Stati Uniti il 15% dei ricavi sulle vendite in Cina di chip fino a poco tempo fa vietati all’export.

Il paradosso

Chiaro come simili mosse facciano sorgere domande rispetto alla strategia di Trump e ai suoi effetti sul capitalismo a stelle e strisce. L’inquilino della Casa Bianca, da un lato, spinge per il sempre maggiore intervento del Governo nell’economia. Dall’altro, però, abbraccia ad esempio il mondo delle criptovalute, che per sua natura è anarco-capitalista. Vero, c’è stata – e c’è – una buona dose di cinismo e furbizia politica nello strizzare l’occhio ad una parte dell’America (cripto tecnologica) che ha costituito – e costituisce – un importante bacino elettorale. Tuttavia, a Washington sono andati molto avanti (il Genius Act ne è la riprova) nel supportare l’industria dei token digitali. Un progetto il quale per l’appunto – sotto il profilo ideologico – è in netta contraddizione con l’interventismo statale.

La presa di potere

Il tutto, poi, è condito dalla progressiva e decisa “presa di potere” nei confronti di tante Agency ed istituzioni finora “indipendenti”. La Sec, con l’uscita di Gary Gensler e la nomina di Paul Atkins, e la “guerriglia” alla stessa Fed sono due degli esempi più lampanti. Sennonché – anche se non si è d’accordo con l’impostazione trumpiana – la contraddizione si scioglie, perlomeno secondo i sostenitori di “TheDonald”, nell’idea che il mezzo deve piegarsi al fine. Così: nel momento in cui non si esclude uno scenario in cui le grandi fonderie globali dei chip finiscono in territorio nemico (leggi isola di Taiwan), ecco che – nella logica di Trump – diventa essenziale che le fabbriche della società siano costruite in America. E, di conseguenza, si giustifica il sostegno della Casa Bianca all’azienda.

Fonte: Il Sole 24 Ore