Vaccinazione antipolio «assolta» in Cassazione: non c’è correlazione con successiva patologia

Vaccinazione antipolio «assolta» in Cassazione: non c’è correlazione con successiva patologia

Non dimostrata la correlazione tra la vaccinazione Salk contro la poliomielite e l’insorgenza di una successiva patologia: ricorso respinto e spese processuali da versare al ministero della Salute. Lo stabilisce la quarta sezione civile della Corte di cassazione con l’ordinanza 25129/2025, rigettando le motivazioni di un sessantenne sardo le cui rimostranze erano già approdate davanti ai giudici della Suprema Corte.

La decisione della Cassazione

In primo luogo, spiega la Corte di cassazione, i motivi sono inammissibili perché si risolvono nella richiesta di un riesame di merito che non rientra nelle competenze della Cassazione. La relazione stesa dalla Commissione ospedaliera, alla quale secondo il ricorrente la Corte d’appello non avrebbe dato il giusto rilievo, secondo la Corte di cassazione ha solo valore presuntivo. Le presunzioni, però, devono essere gravi, precise, concordanti ma soprattutto plurime potendosi soprassedere sul requisito della pluralità solo in presenza di un fatto con autonomo forte valore di prova.

Inoltre, come avevano già stabilito i gradi di merito, la relazione della Commissione era viziata: prendeva infatti in considerazione dati relativi a un vaccino contro la poliomielite, Sabin, diverso da quello inoculato al paziente. Il ricorso odierno, tuttavia, non aveva fornito spiegazioni in tal senso ma solamente reiterato la considerazione secondo cui il verbale della Commissione avrebbe costituito ammissione di colpa da parte del ministero. Eppure, come avevano già dichiarato le Sezioni Unite (sentenza 19129/2023), il principio non è valido. Il verbale della Commissione medica, infatti, non ha valore confessorio e, come ogni atto di pubblico ufficiale, si limita ad attestare fatti avvenuti in sua presenza o da essa stessa compiuti. Diagnosi e manifestazioni di scienza o di opinione sono invece materiale indiziario al vaglio del giudice.

Secondo la Corte di legittimità, poi, il giudice d’appello non ha tenuto, come sosteneva invece il ricorrente, un approccio fideistico nei confronti della Consulenza tecnica d’ufficio che esclude il nesso di causalità facendo ampio ricorso alla letteratura scientifica. Argomentazioni che il ricorso non riesce a scalfire. Peraltro, la produzione in grandi quantità del vaccino consente di escludere che solo la dose inoculata fosse in qualche modo correlata all’insorgere di patologie: se altre anomalie si fossero verificate, la letteratura scientifica ne avrebbe dato conto. Secondo la Cassazione civile, quindi, l’unico criterio su cui si fonda il ricorso è quello cronologico, non sufficiente per l’inammissibilità dell’argomento post hoc propter hoc.

Fonte: Il Sole 24 Ore